Anno sabbatico

Un anno sabbatico fra comunitari, eremiti ed alternativi vari[1]

Nei miei vagabondaggi estivi del 1983, finalmente, dopo averci girato intorno, un giorno andai a conoscere fratel Carlo Carretto; gli raccontai la mia storia, i miei dubbi, le mie incertezze, i miei timori. Mi ascoltò come sapeva fare lui e mi propose di fare discernimento con la preghiera, con il lavoro che spezza il corpo e lo prepara al silenzio e alla contemplazione. Mi propose di restare a Spello per un anno sabbatico. Capii immediatamente che quella era la cosa giusta che avrei dovuto fare. Promisi di tornare alla fine dell’estate. Per ora avevo altre tappe da percorrere, volevo ancora continuare il mio pellegrinaggio per altri luoghi dello spirito che in quegli anni erano meta di giovani in ricerca. E così fu per l’intera estate del 1983, una estate di puro vagabondaggio spirituale.

Verso i primi di ottobre, dopo aver chiuso dietro di me tutte le porte da cui me ne andavo, mi presentai a Spello. Essendomi affidato all’autostop, arrivai di sera, mentre la fraternità era riunita in preghiera nella cappellina. Stavano cantando il salmo: “Ecco i miei piedi sono giunti a te Gerusalemme, città di Dio”. Mi commossi e mi sentii subito parte di questa avventura dello spirito. Nei giorni che seguirono avvertii una grande serenità: almeno per una lunga serie di mesi sarei vissuto secondo quello stesso spirito che avevo conosciuto nei miei incontri precedenti con Maddalena alla Casa della povera gente, con Giovanna presso la fraternità del Casale, e con Luigina nel suo eremo di Nottiano. Fui assegnato alla fraternità del San Girolamo, mentre Carlo era al Giacobbe. Rimasi per l’intero periodo nel ‘convento’ del San Girolamo, con il suo bellissimo chiostro e il suo pozzo; un convento dove non vivevano monaci o frati, troppo spesso casta di persone separate dalla vita. Qui viveva invece solo gente normale, fatta di uomini e donne, soprattutto giovani, che alla mattina sciamavano per confondersi con i contadini e gli operai del paese, senza distinzione e al pomeriggio si raccoglievano per aprirsi all’infinito attraverso il silenzio, la contemplazione e la preghiera.

Sono arrivato a Spello dietro la spinta di un disagio interiore di lunga durata, alla ricerca di qualcosa di cui non avevo idea, ma che mi aspettavo fosse capace di cambiare la mia vita. Ho vissuto tutti gli incontri a Spello con una forte carica emotiva; ogni persona che varcava la soglia di quel chiostro per chiedere ospitalità diventava un nuovo membro della mia famiglia ‘religiosa’, la famiglia di Dio. L’incarico datomi da fratel Carlo, e che ho rivestito per circa sei mesi, quello dell’accoglienza, ha facilitato questo approccio. Elisabetta, Francesca, Anthony, Jure, Renzo, Walter, Marco, Emilio, Antonietta, Carmelo, Fulvio, Giovanni, Tarcisio, Lelio, e quant’altri, mi sono diventati più cari della mia stessa famiglia. Conoscevamo le nostre sofferenze, la nostra ricerca, i nostri dubbi. E quando man mano il tempo di ciascuno finiva e arrivava il momento di partire era una  parte di me che se ne andava. Per questo mi è rimasto dentro insopprimibile il desiderio di continuare l’amicizia fraterna  in tutti questi venticinque anni successivi. Partecipazione e curiosità per percorsi di vita così diversi, così unici, ma anche così significativi! L’esperienza di Spello era stata la concretizzazione più piena dell’ideale che mi muoveva, di ciò che andavo cercando.

E allora perché non rimanere, perché non costruire qui la propria tenda? Chi cerca trova, afferma Gesù nel Vangelo, e Carlo lo aveva testimoniato anche scrivendo il suo libro “Ho cercato e ho trovato”. Perché allora mi sono rimesso in moto? Perché ciò che avevo trovato era esattamente la fraternità nel cammino, il fiume che continuamente scorre e che nessuno può davvero fermare, se non il mare, fratelli e sorelle che vanno e vengono, la fraternità della strada. Chi aveva veramente scoperto lo spirito di Spello, doveva ripartire, perché l’Oreb di Elia era ancora lontano, oltre il deserto, e le forze erano state in parte riacquistate. E io sono ripartito ancora una volta senza sapere dove andare, con più buio di prima, ma questa volta con il sentimento di Abramo che aveva ricevuto il comando di andare, di abbandonare la sua casa, la famiglia, la sua terra per una terra non ancora definita, per una direzione non ancora indicata, con la necessità impellente di inventarsi una direzione, una meta … nella consapevolezza della fede che così facendo, affidandosi radicalmente e laicamente a se stesso e alle proprie autonome scelte del percorso, Dio lo avrebbe misteriosamente diretto.

E così è stato. Se infatti Spello è stato per me la stagione degli incontri, il periodo successivo, quello che, in un certo senso, perdura ancora oggi, è stato per me la stagione del cammino aperto da quegli incontri. Io che non avevo mai pensato prima di uscire dall’Italia, partii da Spello, senza una meta precisa, con un biglietto di sola andata per la Francia, con solo due indirizzi in tasca: quello di una ragazza di Grenoble che faceva parte di un gruppo denominato “Chrétiens et non violence[2]” e di una coppia che viveva in una delle comunità dell’Arca di Lanza del Vasto: entrambi frutto dei miei incontri fatti a Spello.

La Francia fu forse il periodo più duro, ma quello in cui cominciò a delinearsi un percorso. Vi trascorsi in tutto all’incirca sei mesi tra Grenoble, la comunità dell’Arca di Lanza del Vasto[3] e il Villar Saint’Anselme, vicino a Carcassonne, nel Midi. Fu il periodo di maggiore solitudine, completamente abbandonato a me stesso, senza più nessuna ‘famiglia’ attorno, né quella naturale, né quella religiosa, né quella dei sabbatici. Ma a Spello avevo appreso che il mondo era la mia famiglia e mi sentivo comunque a casa ovunque fossi. Il momento più bello che ricordo e che mi è rimasto indelebile fu quando feci amicizia con quattro barboni di Limoux e ce ne andammo a prendere un birra insieme in uno dei locali più sostenuti del paese, sotto gli occhi sgranati del gestore, comunque convinto del grosso biglietto in franchi che fui in grado di mostrargli sotto il naso, frutto del mio duro lavoro nei vigneti della zona, dove in quel momento mi trovavo a lavorare. “Pecunia non olet” deve aver pensato, e ci accettò ugualmente. In Francia infatti avevo conosciuto alcuni ‘clochard’ per i quali la strada era stata una scelta di vita. Erano una sorta di barboni filosofi, di personaggi che sembravano essere usciti integralmente dalla penna di Hermann Hesse; e già in un certo senso, mi vedevo anch’io, durante quella estate francese del 1984, sotto la medesima luce. La lettura più importante che feci in quel periodo fu infatti il famoso Siddharta di Hesse.

Ma l’esperienza fondamentale di quella estate francese, fu quella dell’Arca, una realtà di famiglie che vivano insieme con una regola comune, come in una sorta di monastero laico, seguendo i principi gandhiani. I mesi passati presso La Borie Noble (Beziér – Montpellier), la comunità centrale dell’Arca[4], per certi versi mi sembrarono una diretta continuazione di Spello: la stessa semplicità della vita, il lavoro nei campi, la comunità come un porto di mare dove si potevano fare gli incontri più diversi, la preghiera vissuta in maniera spontanea ma altrettanto profonda, con le sue pause di silenzio (le rappel) che cadenzavano la giornata e con i suoi suggestivi momenti del mattino rivolti verso il sorgere del sole e della sera attorno al fuoco. Non ebbi la fortuna di conoscere il fondatore, Lanza del Vasto, scomparso qualche anno prima, ma leggevo qualche suo libro e mi piaceva davvero[5]. L’Arca dava forma ad una vita alternativa che mi affascinava e che sono stato lì lì per scegliere come approdo definitivo. Ecco, questa era la differenza con Spello: all’Arca ci si poteva fermare, l’arca ti proponeva di mettere radici; non era il fiume che continuamente scorre e ti spinge altrove; era la prateria che ti chiedeva radicamento. A Spello aleggiava lo spirito francescano; all’Arca aleggiava lo spirito benedettino. Ma sia Spello che l’Arca proponevano queste spiritualità non ad una casta separata, ma alla gente comune, ai singoli come alle coppie. All’Arca ho scoperto soprattutto la realtà di una comunità di famiglie che vivevano in una comunione radicale, monastica, nella fiducia e nell’appartenenza reciproca. Un altro sogno prendeva forma dentro di me, rimaneva discreto in qualche angolo del cuore. Non era infatti ancora tempo di radicamenti, era ancora il tempo del cammino. Dovevo lasciare l’Arca, sia pure con molta nostalgia.



[1] Gli incontri di Spello II. Un anno sabbatico tra comunitari, eremiti ed alternativi, “Il salotto degli autori”, Estate 2009 (Anno VII, N.27) pp. 35-36

[2] Grazie alle brevi frequentazioni di questo gruppo insieme all’amica che era venuta a Spello, ebbi modo di conoscere un autore di cui fino a quel momento non avevo mai sentito parlare: Renè Girard, il cui libro, da poco uscito in Francia, Des choses cachées depuis la fondation du monde, mi prese talmente tanto che mi fece entrare in una sorta di trance fino a quando non ne ebbi terminato la lettura. Una inaspettata teoria generale della cultura. Un pensiero sui cui decisamente tornare in tempi migliori.

[3] Lanza del Vasto è stato, nel periodo tra le due guerre, discepolo di Gandhi in India, dove, in seguito ad un pellegrinaggio alle sorgenti del Gange, si sentì chiamato a diffondere in Europa, il  movimento nonviolento del suo maestro. Tornato in patria, dopo la seconda guerra mondiale darà inizio alla comunità dell’Arca, una comunità ecumenica, interreligiosa e basata sui principi della non violenza gandhiana. Da non confondere con l’altra realtà francese, l’Arche di Jean Vanier, legato invece alle problematiche dell’handicap e del disagio.

[4] All’interno di una tenuta di circa quattrocento ettari di territorio boschivo, erano stati riattivati due villaggi precedentemente abbandonati dai contadini all’inizio del secolo: La Borie Noble, e La Flessiére con una popolazione di circa un centinaio di persone.

[5] Tra i suoi libri più famosi: Il pellegrinaggio alle sorgenti e L’arca aveva una vigna per vela, entrambi editi in italiano dalla Jaca Book.

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