La fine del mondo storto

LA FINE DEL  MONDO STORTO
di Mauro Corona

FINE-DEL-MONDO-STORTO 2Capita a volte che il miglior libro che leggi è quello che ti passa per caso il vicino. A me è capitato più volte. Mi è successo ancora quest’estate, mentre ero sdraiato su un lettino da mare in una spiaggia pugliese, per una settimana di assoluto relax. Relax talmente assoluto che finisci per farti prendere dalla frenesia della lettura e terminare prima del dovuto il libro che ti sei portato, un bel tomo di 470 pagine, che ti aveva catturato e proiettato nella storia reale di un altro tempo e di un altro paese, meritevole anch’esso di una recensione, che sarà fatta, promesso, in altra occasione. I giorni scorrono ancora placidi e sereni, sul lettino da spiaggia, sotto l’ombrellone; ma tu non hai più la materia prima per occupare questo tuo tempo liberato dalla vacanza e la cosa diventerebbe molto stressante se non riuscissi a trovare un altro libro da leggere, un libro qualsiasi, fatta eccezione l’elenco telefonico. Nei paraggi nessuna edicola in vista, tanto meno una libreria! E’ a questo punto che getti gli occhi famelici sul lettino della vicina, che nel frattempo si stava facendo una splendida nuotata, rigenerante, in mare. Il libro è lì, sulla mensolina dell’ombrellone, invitante, con il suo segnalibro messo in bella vista grosso modo sulla pagina trenta.  E’ un attimo, lo afferri e cominci voracemente a leggere, dalla prima pagina, senza nemmeno averne letto né titolo né autore; importante è solo placare la crisi d’astinenza, non importa come. Ma ecco che invece, fin dalle prime battute il nuovo venuto ti afferra, ti travolge e ti sconvolge. È a questo punto che vuoi conoscere di che razza di libro si tratti e chi sia il pazzo che lo abbia scritto e ti accorgi di avere tra le mani “La fine del mondo storto” di Mauro Corona. Giuro, non ne avevo sentito parlare. Come è possibile? Beh, la vicina attenderà invano di riavere il suo libro per almeno un paio di giorni. Ma la vicina è mia moglie, e dovrà farsene una ragione.

La fine del mondo storto

Improvvisamente, all’inizio di quello che si preannunciava come un lungo e freddo inverno, il mondo si sveglia e scopre di essere rimasto senza petrolio, senza gas, senza carbone, senza energia elettrica. Un black out temporaneo? No, terminato davvero tutto. Più nessuna forma di energia, se non quella naturale del sole, ma siamo in pieno inverno, e del fuoco, ma come accenderlo e dove e che cosa usare come combustibile? La stagione gelida avanza e non ci sono termosifoni a scaldare, il cibo scarseggia, non c’è nemmeno più luce a illuminare le notti. Le città sono diventate un deserto silenzioso, senza traffico e senza gli schiamazzi e la musica dei locali. Per riscaldarsi e per cucinare si brucia di tutto, ma proprio di tutto, man mano sempre di più, persino i santi di legno delle chiese finiscono al rogo per ottenere un po’ di calore. E il cibo? Prima si svuotano tutte le riserve, i grandi magazzini sono presi d’assalto, è ovvio, ma tutto questo presto finisce e tutti, senza eccezioni e senza qualifiche, non ce ne sono più di qualifiche, si mettono alla perenne ricerca di piante, insetti ed animali da poter mettere sotto i denti per placare il morso della fame. Si finisce persino per reintrodurre l’antica pratica del cannibalismo. Del resto la gente muore come le mosche, mentre l’inverno implacabile avanza senza che gli uomini possano più contare su nessuna protezione. Nel breve arco di una stagione cadranno almeno i tre quarti dell’umanità. Rapidamente gli uomini capiscono che se vogliono arrivare alla fine di quell’inverno di fame e paura, devono guardare indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le cose con le mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti. Così, mentre un tempo duro e infame si abbatte sul mondo intero e la maggior parte della gente muore, quelli che resistono imparano ad accendere fuochi, cacciare gli animali, riconoscere le erbe che nutrono e quelle che guariscono.

Mentre leggi ti rendi conto di essere incappato in un romanzo imprevedibile. Un racconto che spaventa, insegna ed emoziona, ma soprattutto lascia senza fiato per la sua implacabile e accorata denuncia di un futuro che ci aspetta.

Segnati dalla fatica e dalla paura, i superstiti si faranno più forti e insieme anche più saggi. La fine del mondo storto raddrizzerà gli animi, cancellerà la supponenza del ricco e punirà l’arroganza del povero, che si ritiene l’unico depositario di coraggio e resistenza. Resi uguali dalla difficoltà estrema, gli uomini si incammineranno verso la possibilità di un futuro più giusto e pacifico, che arriverà insieme alla tanto attesa primavera, quando saranno i pochi contadini rimasti ad insegnare ai superstiti come sopravvivere e riorganizzare la speranza nel futuro con la coltivazione di ogni angolo di terra rimasto e strappato di nuovo all’incuria e all’uso improprio. Dopo il lavoro immane della primavera, tutti senza eccezione di nuovo a contatto fisico con la terra da coltivare, arriverà l’estate con i suoi frutti e i suoi ortaggi abbondanti che le comunità dei superstiti, rese ormai pacifiche e perfettamente egualitarie dalla dura necessità, avranno insieme, con sforzo equanime, prodotto e condiviso. All’arrivo del prossimo inverno l’umanità si ritroverà già meglio attrezzata e preparata per far fronte insieme al freddo e alla fame.

Dunque l’incubo è davvero finito con la drastica riduzione demografica e il recupero di forme di vita prossime alla natura come all’inizio dell’umanità? Mauro Corona ci invita solamente a riscoprire di nuovo il mito del buon selvaggio di rousseauniana memoria? Beh, forse a questo punto, se ne siamo rimasti incuriositi, varrebbe la pena di procurarsi il libro e leggerlo.

 Franco Pignotti

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