Evangelo come energia trasformante

Dal vecchio ceppo un germoglio di speranza

Wood Hath Hope[1]

Il 6 Settembre 1998 un tornado colpì la parte occidentale dello stato di New York. Lungo la direttiva del tornado, decine di migliaia di alberi vennero sradicati, oltre 1000 edifici furono danneggiati, centinaia di migliaia di case rimasero senza elettricità per almeno una settimana e si registrarono diversi decessi fra i cittadini. La principale area colpita era stata quella intorno alla città di Syracuse. Il tornado fu infatti  battezzato il Syracuse Labor Day 1998 Storm.

In quella stessa città, un piccolo gruppo di persone si erano messe insieme con l’esplicito proposito di dar vita ad una piccola comunità cristiana dedicata allo studio della Bibbia ed aperta a chiunque volesse farvi parte. Esse erano alla ricerca di un nome per identificare il proprio cammino interiore e comunitario. L’enorme impressione causata dall’abbattimento violento delle foreste così fitte e vitali in quella regione, costituì una grande motivo di riflessione e il pensiero riandò ad un testo del libro di Giobbe che proclamava la speranza oltre la distruzione usando la metafora dell’albero abbattuto.Poiché anche per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, al sentore dell’acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta” (Gb 14,7-9). Piacque al gruppo questa metafora, resa così reale e vivida dalla terribile esperienza subita: il nome del gruppo era stato trovato “Wood Hath Hope”, c’è speranza nell’albero, ogni tronco abbattuto e distrutto rinasce a nuova vita anche quando la morte sembra averlo definitivamente spezzato. Una splendida metafora per la vita dell’uomo, nel segno di una antropologia della speranza.

Il piccolo gruppo era formato da persone che provenivano da diversi background ecclesiali: erano presenti in esso le più disparate denominazioni cristiane, come pure persone non appartenenti ad alcuna chiesa. Sembra essere questa una caratteristica emergente nella società americana: si diffondono esperienze di ‘comunione’ che travalicano i confini delle denominazioni vecchie e nuove, ci si ritrova per cammini comuni che non hanno intenzione di ‘fondare’ nuove denominazioni’ secondo la vecchia logica e in questi nuovi cammini le persone non abbandonano ufficialmente le vecchie appartenenze, solo le rendono obsolete, pleonastiche. Al centro di questo ‘movimento’ emergente, non c’è l’istituzione di qualsiasi tipo e in qualsiasi modo possa essere concepita, c’è semplicemente il desiderio dell’autenticità del proprio rapporto con il vangelo a cui ci si avvicina, oltre tutte le concretizzazioni storiche. D’un sol colpo si abbattono tutte le barriere che ancora si frappongono ad una vera esperienza di chiesa e che hanno costituito da sempre motivi di violenza. Si costruisce così un autentico ecumenismo dal basso.

Wood Hath Hope (WHH) è una di queste realtà, essa si sente impegnata in una riscoperta del messaggio evangelico come pace e speranza per il mondo, nella consapevolezza che la vita e l’insegnamento di Gesù stiano spingendo la cultura umana verso la nonviolenza e il perdono, nonostante il nostro tempo sembri essere dominato sempre più dalla cultura della violenza e della morte. Il piccolo gruppo è ‘assiduo’ allo studio della Bibbia e ad una comprensione della stessa che mostri come il piano di Dio sia stato sempre quello del superamento della violenza e della morte nel mondo. Mentre le Chiese storiche appaiono in declino e il loro ‘alter ego’, il ‘fondamentalismo’ promuove una teologia violenta di cui abbiamo avuto uno spaventoso esempio nei fatti di Oslo[2], il messaggio di Gesù continua a creare nuove comunità e opportunità di pace in tutto il mondo.

WHH cerca semplicemente di essere espressione fedele di questo movimento emergente generato dallo spirare ‘gentile’ dello Spirito. Uno ‘Spirito’ che valorizza ogni persona, che non massifica mai nessuno, che fa percepire l’altro sempre come una diversa tonalità di colore, un frammento di luce divina capace di illuminare il cammino degli altri, reciprocamente. Il messaggio di Gesù è sentito come potenza di cambiamento del mondo, un vangelo che non si adatta alla falsità e alla violenza strutturale presente in ogni cultura. Cercare di liberarsi dalle strette di questa violenza strutturale è il compito di ogni vero discepolo di Cristo, anche se questo resta molto difficile in termini pratici perché noi tutti siamo costretti a vivere dentro una determinata cultura; ma almeno è possibile abbandonare le forme più evidenti di questo condizionamento strutturale. Così Wood Hath Hope ha scelto espressamente di incontrarsi in luoghi che non abbiano alcun aspetto sacro e che non appaiono come ‘chiese’. La stessa appartenenza non è sentita come un moloch a cui dover ‘sacrificare’, ma resta estremamente libera: il gruppo, nei suoi oltre dieci anni di vita, ha incontrato e sensibilizzato centinaia di persone, molte delle quali hanno poi formato il loro proprio gruppo di riferimento o sono diventate attive nelle vecchie denominazioni; ma è rimasto sempre ridotto quanto al numero delle persone che sono presenti ai momenti comunitari, preferendo concepirsi piuttosto come ‘gruppo seminale’, come ‘sale’ e ‘lievito’ che si dissemina nell’ambiente.

Forte è la sensazione di trovarsi al crocevia fra un passato che si sta dissolvendo e un futuro ancora da venire, ma già germinalmente presente[3]; tra un passato dominato, anche all’interno delle varie chiese e denominazioni cristiane, dalle strutture della violenza, e un futuro in cui si aprono spazi di pace, di non violenza, di perdono, di fraternità, di compassione: è questo il nuovo pollone che rinasce sulla distruzione dell’albero abbattuto, del ceppo morente.  Ecco il motivo dello strano nome scelto: Wood Hath Hope.

Le orme di Spello

La ‘comunità’ si ritrova assiduamente per lo studio della Bibbia sotto la direzione di Anthony Bartlett e di sua moglie Linda. La famiglia Bartlett è una famiglia statunitense di recente immigrazione; proviene dalla Gran Bretagna. Il motivo del loro trasferimento negli USA, dove hanno fondato ‘Wood Hath Hope’,  è davvero singolare e vale la pena di essere raccontato. Fa parte di una storia che è cominciata a Spello, dove io ed Anthony abbiamo condiviso il periodo più importante della nostra vita, l’anno sabbatico nella fraternità di Carlo Carretto fra il 1983 e il 1984.

Ricordo con chiarezza che la sera in cui per  la prima volta misi piede nella fraternità di Spello per rimanerci, la fraternità era già riunita nella cappellina del San Girolamo per la liturgia della sera: Anthony stava celebrando l’eucaristia; anche se era palpabile la sensazione che il vero ‘celebrante’ fosse lo stesso fratel Carlo, con la sua testa canuta, il suo bastone e il suo camminare claudicante. E soprattutto con i suoi silenzi e le sue parole che commentavano e accompagnavano la liturgia in corso. Per l’intero anno sabbatico Anthony aveva continuato a celebrare l’eucaristia, su invito di fratel Carlo, dal momento che non erano presenti in fraternità ‘piccoli fratelli’ che fossero anche ‘presbiteri’, e tutti avevano potuto apprezzare la profondità evangelica delle sue riflessioni e dei suoi commenti alla Parola. Il ‘Discorso della montagna’ era la sua carta costituzionale, il ‘prisma’ attraverso il quale rileggere non solo i vangeli, ma l’intera tradizione biblica. A Londra era stato in precedenza un attivista nel movimento nonviolento. Era approdato a Spello non perché in crisi con la propria fede o con la propria ‘vocazione’ di ‘evangelizzatore’, una vocazione che sentiva fortemente e che diventava visibile a tutti nel suo carisma di commentatore della Parola. In Inghilterra, negli anni immediatamente precedenti, era stato in assoluto, nella Chiesa Cattolica, il primo ad avviare un ‘catecumenato’ per adulti non battezzati. Ma anche lui, come me, era approdato a Spello per un tempo di verifica di una lunga crisi di appartenenza all’istituzione ‘chiesa’.

Terminato il suo anno sabbatico nella primavera del 1984, Anthony prese la decisione di lasciare il sacerdozio (era stato ‘ordinato’ nel 1973) e di continuare a servire il vangelo sulla base del proprio Battesimo. A partire dal 1984 è andato a vivere fra i barboni e gli alcolizzati della East London dove ha diretto una missione per i senzatetto insieme ad una associazione di volontariato londinese. Era là che lo avevo raggiunto ed ero stato a mia volta accolto da lui all’inizio del mio periodo londinese (anche io ero, in quel periodo, un senzatetto). Per tutto il tempo che sono rimasto a Londra, andavo spesso a trovarlo ed era per entrambi un piacere immenso poterci scambiare opinioni, esperienze, ricordi e prospettive per il futuro. Nel 1986 si è sposato con Linda che lo aveva affiancato nella sua azione di accoglienza e testimonianza dell’amore di Dio anche per il più derelitto degli uomini.

Verso la metà degli anni novanta, dopo un decennio dedicato all’accoglienza, il mio amico sentì il bisogno di riprendere un cammino nuovo di tipo intellettuale. Fu in quel momento che gli ritornarono in mente i dialoghi avuti con me su un autore a lui prima sconosciuto e che io avevo conosciuto in Francia nel periodo immediatamente seguente alla mia partenza da Spello: René Girard. Avevo con me due libri di questo autore: Des choses cahées depuis la fondation du monde, che mi ero portato dalla Francia, regalatomi da Christine, la mia amica francese del gruppo Chrétien et non violence di Grenoble[4]; e Le bouc émissaire, che avevo inutilmente cercato in tutte le librerie di Londra, e che poi avevo deciso di farmelo inviare anch’esso dalla mia amica francese, perché René Girard era ancora un autore del tutto sconosciuto nelle librerie di Londra[5]. Al momento di lasciare definitivamente Londra per l’Italia, mi si era posto il problema di spazio sul mio zaino e deciso di tenere solamente con me i due libri fondamentali della mia vita: la Bibbia e gli Scritti di San Francesco. I due libri di Girard facevano troppo volume e decisi di farne dono ad Anthony, lasciandoli nella sua libreria. Questo era successo nell’estate del 1985 e per diversi anni successivi Anthony non aveva toccato quei due libri, il cui contenuto gli ricordava i nostri dialoghi della prima ora a Londra. Ma ora, alla ricerca del suo nuovo cammino, fra le altre cose, Anthony prende in mano questi due libri, li legge per la prima volta con interesse e decide di ricominciare da lì il suo nuovo cammino intellettuale[6]. Vuole approfondire il pensiero di Girard nella sua relazione con la Bibbia. Cerca il contatto con l’autore che viveva e vive ancora a Stanford in California e gli sottomette il suo progetto: approfondire dal lato biblico le implicarne del suo pensiero. Girard gli risponde indicandogli due università dove insegnano due docenti che stavano facendo questo tipo di lavoro: Raymund Schwager nell’università di Innsbruck in Austria, e James Williams nell’università di Syracuse nello stato di New York. Entrambi avevano già pubblicato su questo tema[7]. L’Austria è più vicina, ma implica la conoscenza del tedesco che Anthony conosce poco; Syracuse è al di là dell’oceano Atlantico, ma non presenta nessun problema linguistico. Sceglie Syracuse e gli USA e vi si reca per incontrare il Professor J. Williams. Il viaggio ha successo, torna a casa con un progetto preciso: iscriversi ad un Dottorato di ricerca nell’Università di Syracuse. Linda è una infermiera professionale, può facilmente trovare lavoro negli USA. Insieme decidono di vendere casa e di trasferirsi armi e bagagli nello Stato di New York insieme ai loro bambini, Christopher e Susan. Così avviene e gli anni successivi porteranno Wood Hath Hope, la piccola comunità evangelica, il terzogenito Lian, il Dottorato brillantemente conseguito con la pubblicazione della tesi[8], e poi l’insegnamento universitario[9] e il suo impegno per una teologia della pace e della nonviolenza. In particolare è degno di nota soprattutto il suo ultimo libro, Virtually Christian, nel quale sostiene con forza come il vangelo abbia introdotto un cambiamento antropologico strutturale a livello del ‘significato’ stesso dell’essere umano, guidando la terra verso la nonviolenza e la compassione di cui Gesù è contemporaneamente modello e motore per eccellenza[10].

Virtually Christian di Anthony Bartlett

Virtually Christian di Anthony Bartlett

Accade spesso che un autore dedichi il proprio libro a qualche persona che è stata particolarmente significativa nel proprio percorso fino a quell’opera. Anthony Bartlett non è da meno. Virtually Christian presenta questa dedica: “In memory of Carlo Carretto who saw the world filled with contemplation and shared its light with those of us in the Spello community 1983-84”[11], come a dire che questo libro affonda le sue lontane radici nell’esperienza vissuta con Carlo durante il nostro comune anno sabbatico a Spello.

Per una ‘chiesa virtuale’

Il libro è intenso, vibrante, complesso, luminoso, una forte iniezione di speranza in questo nostro povero mondo che oggi ci appare così minaccioso e ci rende così insicuri sul futuro. Scrive in sostanza Anthony che nonostante tutta la violenza di cui il cristianesimo si è reso responsabile lungo i duemila anni di storia[12], il messaggio di Gesù è penetrato in profondità nelle falde della storia. Si tratta di una presenza mistica e operante alla radice stessa del mondo umano, là dove si fondano, si producono e si trasformano i significati, i simboli, il linguaggio che lo rende ‘antropos’. Una presenza  trasformante, perché  il Crocifisso Risorto, con la sua testimonianza di un amore abissale che non s’arresta davanti a niente, fossero pure i propri carnefici, che dalla croce perdona e scusa – “padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” –, è diventato una sorta di ‘enzima’ nella storia che, con la sua stessa presenza, cambia e trasforma ogni segno dell’umano. Un processo lungo, dagli esiti incerti perché la sua azione liberante dell’umano è anche una sorta di apertura del ‘vaso di Pandora’: mette le ali al desiderio umano non più intrappolato dal sacrificio e lo espone all’infinito, anche all’infinito amore di Cristo. Un amore che tende a delineare il volto di una nuova umanità libera dalle incrostazioni dello spirito di appropriazione – il quale conduce inesorabilmente alla rivalità e alla violenza – e sostanziata da uno spirito nuovo, lo Spirito dell’auto-donazione, della com-passione, del per-dono. Un vaso di Pandora dunque aperto non dal pessimismo greco, che vi vede la stura a tutti i mali, ma dalla speranza ebraica e infine cristiana dei nuovi cieli e della nuova terra, della nuova umanità finalmente nonviolenta, compassionevole, amante; la speranza sancita dal Risorto. Tutto questo lo dice in sette capitoli serrati che si succedono uno sull’altro e che spaziano a 360 gradi, dalla teologia tradizionale delle chiese storiche, all’amor cortese dei trovadori provenzali, alle più moderne conquiste della scienza come la scoperta dei ‘neuroni a specchio’ e l’immensa arena della ‘cibernetica’; dalle più approfondite conoscenze esegetiche del Nuovo Testamento, in particolare sulla letteratura giovannea, al mondo apparentemente fatuo del cinema dove invece Bartlett vi scopre la presenza e l’opera della stessa ‘matrice’ di Cristo sottesa alla cultura occidentale e ormai mondiale.

Voglio soffermarmi però solo su uno di questi capitoli, il sesto di cui egli stesso dice che non vedeva l’ora di mettervi mano perché è il cuore dell’intero libro, il suo tentativo di descrivere come tutto questo possa diventare pratica quotidiana[13]. In questo capitolo delinea la sua visione di chiesa che emerge da quanto detto nel resto del libro. Come espressamente afferma nell’introduzione all’intera opera, la matrice di quanto scrive in questo capitolo, è da ricercare nell’esperienza della sua comunità di fede Wood Hath Hope che “costituisce la cassa di risonanza del contenuto qui presentato e il modello per la maggior parte di ciò che viene presentato nel capitolo”[14].

Il capitolo si apre con il racconto di una cena di lavoro a cui l’autore partecipa insieme ad alcuni  ‘pastori’ di diverse chiese che si aprono a confidenze reciproche sulla crisi delle loro rispettive congregazioni. È l’occasione per una analisi della società americana dal punto di vista della pratica religiosa dove le chiese storiche perdono continuamente pezzi, o sono irretite da interessi di pura bottega (‘i pastori sono pagati dai membri della chiesa e non possono permettersi di pestare loro i calli’), o combattono contro la piaga della pedofilia (soprattutto la chiesa cattolica); e dove le uniche chiese in crescita sono le formazioni ‘fondamentaliste’ appartenenti a tutta la gamma delle denominazioni cristiane e che sono unite dalla loro predicazione di un Dio violento e giustiziere, e i movimenti delle cosiddette mega-chiese che presentano un cristianesimo del tutto superficiale e mondano (“due miglia lungo e due centimetri profondo” secondo la caustica definizione del segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese) e commercializzato: la mega ‘congregazione’ gestisce arene per i mega incontri, gruppi rock, canali televisivi, centri di fitness, coffee shop, e così via. Il futuro del cristianesimo appare dunque a tinte molto fosche a questi addetti ai lavori. Quale la soluzione a questo stato di cose? Quale sarà il futuro delle chiese? Come ridare slancio alla predicazione evangelica?

L’autore non vede altra via che un ritorno alle sorgenti, un “ritorno alla Bibbia”, contestuale però ad una più approfondita e ‘sapienziale’ conoscenza del mondo contemporaneo, dove è già presente l’opera trasformante della ‘matrice di Cristo’, per la costruzione di una ‘chiesa virtuale’[15], di una umanità nuova trasformata nel profondo e basata sul dono e sull’amore.

Bartlett ci offre sei elementi chiave per una forma pratica di chiesa emergente dalla contemporanea matrice di Cristo, cioè dalla Sua mistica presenza operante a livello delle radici del desiderio umano:  carattere informale; atteggiamento inclusivo; formazioni locali; nessuna rivalità con le chiese ufficiali; riconfigurazione del proprio sistema simbolico attraverso lo studio biblico; segni e sacramenti.

Carattere informale

La cosa più vitale di questa proposta è il ruolo primario delle relazioni all’interno del piccolo gruppo. Queste relazioni sono ‘informate’, modellate dall’opera trasformante di Cristo che agisce a livello del sistema simbolico umano per ristrutturarlo e trasformarlo continuamente dalla violenza alla nonviolenza. Questi rapporti pertanto devono essere non ‘formali’ ma ‘trasformativi’.  Ogni piccolo gruppo è una sorta di laboratorio di una nuova umanità, e in questo consiste l’essere chiesa. L’immagine più forte è la koinonia, una parola greca di difficile traduzione: ‘vita comune’. Il modello sono le comunità giovannee caratterizzate dal ‘rapporto immediato’ con Cristo attraverso il ‘rapporto immediato’ con il suo discepolo che aveva vissuto questo ‘rapporto immediato’ con Cristo[16]. L’accento è posto sulla qualità della relazione umana, fisica, fra i membri e con Cristo.  È insomma il ‘dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro’. In questo modello non si pone il problema dell’autorità gerarchica, come nel modello petrino, ma solo quella della testimonianza che viene trasmessa e che raccoglie discepoli.

Secondo Bartlett le comunità caratterizzate da questo tipo di rapporti primari, devono rimanere piccole, tali da entrare facilmente nel salotto di una casa; il loro numero ideale potrebbe essere la dozzina e si chiede se il gruppo dei Dodici non sia una sorta di simbolo di queste piccole koinonie. Il paragone storico che Bartlett fa è con il primo monachesimo. Questo primo monachesimo era caratterizzato dalla fuga mundi, qualcosa che oggi non è più possibile (anche i monasteri hanno i loro siti web e i loro blog), ma il cui senso in realtà era quello del sottrarsi al mondo violento per costruire relazioni nuove basate sulla relazione con Cristo ricercata come primaria. Oggi tutto questo va cercato nelle città (“Il deserto nella città” di Carlo Carretto), all’interno del mondo dei segni umani, dove si cela la matrice di Cristo. Questo ‘nuovo monachesimo’ dunque non fugge più il mondo, ma vi entra più profondamente attraverso la presa di coscienza della matrice di Cristo già sottesa alla storia umana e la vita comune che questo genera, fuori dalle mura, fuori dalle strutture e dalle istituzioni; in uno stile di umiltà e nascondimento.

Atteggiamento Inclusivo

La seconda caratteristica della ‘chiesa virtuale’ è l’assenza totale di confini, una accoglienza a 360°. Nel Nuovo Testamento troviamo chiaramente delineata questa indiscriminata apertura e assenze di confini: Gesù che accoglie tutti scandalizzando i benpensanti e gli uomini religiosi; Paolo che proclama come in Cristo non ci siano più differenze di popoli e di genere. Nella ‘chiesa virtuale’ ogni categoria di persona deve potersi trovare a casa. Qualsiasi paletto posto, è una contro testimonianza nei confronti di Cristo. Bartlett presenta qui un caso per tutti, molto dibattuto nella società americana: il caso dell’accoglienza nella chiesa di gay e lesbiche. Il problema non è la sessualità quanto il bisogno di relazione; e queste persone cercano nella chiesa proprio la relazione. Se la chiesa è concepita come un pezzo di umanità in trasformazione, seguendo la matrice di Cristo, è l’amore l’obiettivo finale e tutti, anche gay e lesbiche, vengono attratti verso questo processo trasformante. Il piccolo gruppo che cerca di vivere questa vicinanza trasformata di Cristo coinvolgerà ogni suo membro in questo processo; per questo, per principio, nessuno può essere escluso. Non si deve chiedere a nessuno alcuna password, alcuna tessera di appartenenza. Il movimento del gruppo verso la non violenza deciderà da solo se una persona abbia voglia di restare o di lasciare.

Gruppi locali collegati in rete

Bartlett propone la valorizzazione assoluta del piccolo gruppo in senso puro, rifiutando qualunque mega realtà assembleari. Motiva questa sua scelta dal fatto che ogni grande raggruppamento umano deve fare i conti con forme di violenza istituzionalizzata perché come minimo collaterali a forme culturali che richiedono coercizione, imposizioni, polizia, esercito, ecc. Si tratterà sempre di una forma di cristianesimo costantiniano (in hoc signo vinces). Solo il piccolo gruppo può garantire una società veramente libera, nel senso di una antropologia della nonviolenza senza compromessi. È chiaro che possono esserci pericoli anche nei piccoli gruppi. Ma queste piccole comunità, proprio per il fatto del loro carattere di totale inclusività, sono anche di carattere pubblico, non settario, non chiuso per definizione e questo non può che generare umiltà ed autodisciplina.

Chiaramente però è bene che questi piccoli gruppi si mettano in rete. Oggi internet ha completamente mutato la possibilità delle relazioni, aprendo opportunità enormi per far avanzare la ‘matrice di Cristo’ nel mondo. Importante poi pensare a dei ‘concili’, ‘conferenze’, ‘forum’, ecc. dove le piccole comunità si incontrano effettivamente per creare comunione, per fare festa, per esplicitare insieme la nuova umanità verso la quale si stanno muovendo; e in questa prospettiva recuperare il senso della grande chiesa.

Relazioni non rivali

La storia della chiesa è una storia di rivalità violente. Non è necessario ripetere ancora una volta le compromissioni con la violenza nella storia della Chiesa Cattolica. Il Protestantesimo infatti ha perfettamente ereditato da essa tutta la sua violenza istituzionalizzata. Da questo punto di vista la Riforma non c’è mai stata, deve ancora essere fatta. I fondamentalisti di ogni tipo restano completamente dentro questa mentalità violenta.

Nel frattempo però Cristo porta avanti la sua azione nella storia, anche fuori dei confini delle chiese, disfacendo il vecchio meccanismo sacrificale e ritessendo il nuovo senso dell’autodonazione, trasformando il mondo dei segni e creando le possibilità per una nuova umanità. Essere cristiani significa mettersi in questo processo, farsi penetrare da esso e diventare così agenti del processo stesso. Questo è il lavoro dei piccoli gruppi, e in questo lavoro, essi non entrano in contrasto con nessuno, non si pongono, nei confronti degli altri, in atteggiamento di rivalità. Questi piccoli gruppi non vedono se stessi in opposizione alle chiese tradizionali. Piuttosto operano in parallelo. Le chiese tradizionali hanno una loro funzione come portatrici della tradizione che ha inserito il Vangelo nella Storia. Ma esse non esauriscono né imprigionano lo Spirito. La stessa cosa vale per il testo biblico, esso veicola il messaggio di Cristo e del superamento della violenza, ma da solo non basta. È necessaria la presenza operante del Risorto e questa è una presenza operante nello Spirito, che soffia dove vuole. “Il Risorto è un agente in proprio e questa presenza meravigliosa e fattuale di Cristo nel mondo è ciò che sta provocando lentamente il cambiamento che Dio desidera”[17].

Riprogrammazione dei segni

Queste comunità, piccole, inclusive, locali, non rivali, hanno bisogno di un percorso pratico che può aiutarle a riprogrammare il proprio sistema simbolico, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Questo è il ruolo dello studio biblico. La Bibbia rappresenta il cammino che il popolo ebraico ha fatto per secoli, in compagnia di Dio, fino a produrre la stupenda figura di Gesù. La Bibbia è un processo di cambiamento e di trasformazione di significati del mondo simbolico dell’uomo; da un mondo simbolico governato dalla violenza sacralizzata, ad un mondo simbolico governato dall’amore nonviolento di Cristo. In questo lungo processo di cambiamento, entrambi (Dio e l’uomo) cambiano. Dio cambia non in sé ma nell’idea che l’uomo ha di Lui. Man mano che la storia procede Dio rivela sempre più se stesso come Dio della comprensione, dell’amore e della nonviolenza; e nello stesso tempo e per lo stesso motivo cambia il mondo simbolico dell’uomo, un cambiamento antropologico. È questo cambiamento antropologico che manifesta la rivelazione teologica del Dio dell’amore. È solo dalla fine che emerge il pensiero iniziale. La Bibbia va letta in questa maniera, una lettura che può essere ‘antropologica’.

Mt 5,43-44 è chiarissimo nel presentare l’esito di questo lungo processo di cambiamento:  “E’ stato detto ‘ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’, ma io vi dico, ‘ama il tuo nemico’”. Da qui l’apertura e l’accoglienza senza confini, la rottura dei confini etnico-religiosi. L’accoglienza di ogni categoria di persona, persino del nemico! La resurrezione è sulla stessa linea di questo stesso movimento, la rottura del confine invalicabile della morte; la negazione della sua violenza strutturale. È così nata una nuova umanità, almeno in una persona, poi in piccoli gruppi, comunque nel significato antropologico ora spendibile e presente sul mercato del simbolismo umano, un punto di non ritorno. Leggendo la Bibbia in questa maniera il piccolo gruppo si troverà a confrontarsi sempre di nuovo con l’antico mondo simbolico della violenza e quindi, attraverso il percorso biblico, con al sua trasformazione in un mondo simbolico straordinariamente, totalmente nuovo, quello inaugurato dal Crocifisso Risorto, il vero uomo nuovo, il primogenito di molti fratelli e sorelle.

Segni e sacramenti

Se Cristo cambia il senso umano della storia, tutto diventa sacramentale, segno della sua presenza e il cristiano virtuale cercherà costantemente di riconoscere e trovare il Cristo del perdono e dell’amore al cuore stesso del nostro mondo ordinario. Egli si dedicherà anche alle tradizionali attività cristiane: meditazione, contemplazione, preghiera comune, vita condivisa, ecc. Tutto questo continuerà a farlo nel mezzo della sua vita nel mondo. La Chiesa virtuale non propone niente di nuovo, se non questa acuta coscienza della presenza di Cristo nel mondo, per questo, per essa tutto diventa ‘iconico’. L’icona – una tradizione orientale sempre più apprezzata in occidente – può diventare per la ‘chiesa virtuale’ la metafora del mondo normale: in essa manca del tutto la dimensione della profondità  perché la profondità è data dal mistero divino. Per la chiesa virtuale il senso della profondità è l’amore che è principio e fine del significato umano trasformato da Cristo, un amore che sostituisce la violenza strutturale dell’uomo; dunque la metafora iconica, dove la profondità viene data da Cristo, qui significa in definitiva che la terza dimensione è quella dove propriamente avviene il cambiamento del senso, dal senso violento al senso dell’amore.

Il paragrafo finale del capitolo è dedicato all’Eucarestia, il sacramento per eccellenza. Ci sono due modi di intendere questo sacramento: quello istituzionale che si richiama alla catena ininterrotta dell’evento, basato sulla ‘ripetizione’ della formula della cosiddetta ‘istituzione dell’eucaristia’; e quello ‘virtuale’ che mette al centro il potere trasformante dell’eucaristia, un potere che è sempre nuovo, legato non alle parole dell’istituzione e non in mano ad una casta di ‘ordinati’, ma alla reale presenza di Cristo nel mondo trasformato dal suo desiderio di amore. Bartlett afferma che oggi tutto si pone in maniera diversa e tutto torna nuovo e fresco come al tempo delle origini. Il sacramento dell’eucaristia diventa il sacramento dei sacramenti, il segno che dischiude il lievito cristologico in ogni segno. Ogni volta che noi facciamo questo la terra stessa diventa iconica, liberata dalla sua terza dimensione fatta di avidità e violenza e aperta alla dimensione infinita dell’amore. L’intera vita della chiesa virtuale è sacramentale, legata all’umanità trasformata di Cristo, una umanità che essa significa. ‘Significare’ vuol dire incidere sul senso del mondo e farlo a partire dal perdono offerto dalla vittima è cambiare la dinamica centrale delle relazioni umane e quindi dell’intero mondo stesso. Quando interpretiamo i segni del pane e del vino all’interno della azione e intenzionalità storica dell’intera vita di Gesù, noi ci inseriamo in maniera attiva in un drammatico processo di cambiamento del mondo. È questa la ‘presenza reale’, il vero evento umano della trasformazione del mondo in e attraverso Gesù Cristo. “Prendi, mangia, e fai questo in memoria di me!” In questo modo la terra e il cielo vengono ricreati di nuovo, come se lo fosse la prima volta!

***

In questi sei elementi l’autore rilegge la sua esperienza di fede nella sua piccola comunità che viene così compiutamente delineata in relazione a tante altre piccole realtà simili che lo Spirito sta suscitando un po’ ovunque. Chiaramente Bartlett ha presente la realtà del cristianesimo nordamericano, come esplicitamente tematizzato nell’analisi da cui è partito nella cena di cui sopra, con i pastori. Ma non è difficile rivedere in questa analisi e in questa proposta altri contesti e altre proposte simili: penso alle piccole comunità di base che sorgono in America latina e in Africa, ma anche a tante realtà che nascono e si sviluppano anche in Europa e in Italia[18]. Penso anche alla nostra comune esperienza a Spello durante il nostro anno sabbatico in cui le nostre storie si sono incrociate. Quella dozzina di sabbatici che eravamo, costituiva già una piccola ‘chiesa virtuale’, tesa davvero in maniera drammatica tra il già e il non ancora, completamente aperta a tutti e senza alcun giudizio che avrebbe potuto escludere qualcuno, profondamente inserita nel luogo e nel suo mondo del lavoro, in rete con altre realtà simili, senza alcun atteggiamento rivalitario, dedicata ad una lettura della Bibbia da cui ci si aspettava la trasformazione del nostro mondo relazionale, riunita attorno alla celebrazione del sacramento dell’eucaristia. È sicuramente lì che, aiutati dalle meditazioni di Carlo, molti di noi in crisi con la chiesa istituzionale, abbiamo imparato ad amare profondamente la chiesa e a percepirla come segno e strumento di trasformazione del mondo, al di là e oltre tutte le sue incrostazioni dure a morire. E per ciascuno di noi il mondo dei segni umani è stato trasformato e ciascuno di noi a modo suo e su percorsi diversi si è inserito all’interno di questo processo di trasformazione del mondo.

La Bibbia, l’Eucaristia e la Croce

Vorrei chiudere questo articolo tornando ancora una volta alla piccola comunità di fede Wood Hath Hope e ai segni o pratiche di vita concreta – la Bibbia, L’Eucarestia, la Croce – che sostengono il cammino di questa ‘piccola chiesa virtuale’, delineata dalle sei caratteristiche sopra esposte.

La Bibbia. I membri di questa piccola comunità, sotto la guida di Anthony e Linda, si dedicano ad una lettura costante della Bibbia, secondo il taglio antropologico sopra presentato[19]; una lettura basata sull’accoglienza del potere trasformante della parola biblica che conduce l’uomo alla identificazione con il Dio della nonviolenza, della pace, del perdono, della compassione e al rifiuto di ogni mentalità basata sulla violenza che costituisce il cuore più nascosto e più operativo di ogni cultura. Alcune pagine della Bibbia sembrano condividere questa mentalità violenta, ma ciò che rende la Bibbia unica – ed è la vera prova della sua ispirazione divina – è il fatto che a poco a poco, con l’avanzare della storia, il testo biblico introduce una crescente consapevolezza di questo fondamento violento di ogni cultura, e annuncia che il Dio di Gesù è un Dio della nonviolenza assoluta, della compassione, dell’amore. Prendere coscienza di questo processo biblico è senz’altro l’inizio e la conclusione dello studio biblico di WHH. La Bibbia è prima di tutto un modo per capire noi stessi prima ancora che per capire Dio. Questo metodo di interpretazione che WHH utilizza si rifà espressamente all’insegnamento e al lavoro pionieristico del critico e antropologo culturale, René Girard e può essere definito come “metodo critico-antropologico”; anche se, una volta che l’occhio abbia iniziato a scrutare in questo modo le Scritture, esso ci appare come dinamicamente proposto dalla stessa scrittura, evidente per se stesso.

L’Eucaristia. Accanto alla lettura della Bibbia la piccola comunitàvive il sacramento del pane e del vino. L’Eucaristia è per essa un processo di cambiamento del mondo, anzi molto più che un processo; in essa la comunità appare come una donna nel travaglio del parto che cerca di far emergere un nuovo sentimento del mondo, di far nascere una nuova creazione, libera da violenza, rivendicazione e morte. La tradizione del cristianesimo, in tutte le sue manifestazioni, ha talmente intrappolato l’eucaristia sulla questione della “cosa” del pane e del vino che ci ha fatto completamente perdere di vista la novità di cui questo segno ci parla: il travaglio di un parto, ripetuto ogni volta che lo facciamo, fino alla Sua venuta. Nella propria celebrazione eucaristica, WHH prega così: Mediante la fede nel Gesù Risorto, e il rendere grazie, noi abbracciamo il dono che lui ci fa: l’universo delle rocce e della luce, delle profondità invisibili e delle stelle fulgenti, del mare e della terra, della pioggia e degli alberi. Nel Gesù Risorto noi abbracciamo la nostra terra: il grano, il vino, l’olio, il veloce uccello, la possente balena, le donne, gli uomini, i bambini, e ogni realtà diffusa su tutta la sua vivente sfera. Attraverso l’auto-donarsi di Gesù, nella sua vita e sulla croce, noi siamo pervenuti alla chiara conoscenza del nostro amato Dio, l’unico che non può essere né visto, né immaginato né persino pensato, se non attraverso questo auto-donarsi.  Ed ora noi riceviamo dal nostro Amato tutto questo, e rendiamo al nostro Amato grazie come Gesù ci ha insegnato, usando i semplici doni del pane e del vino[20].

La Croce. La più sentita attività spirituale di WHH, appresa dalla comunità ecumenica di Taizè, è quella attorno all’icona della Croce. I monaci di Taizé incoraggiano espressioni corporali intense nella preghiera, utilizzando segni e posizioni che incrementano un olistico senso dello spirito. Per WHH la pratica è anche direttamente relazionata alla propria fede centrale riguardo alla croce: il modo in cui trasforma il nostro modo di essere umani.

I fratelli e le sorelle si ritrovano attorno ad una icona della croce stesa orizzontalmente sul pavimento e circondata da candele accese. In genere è Linda che guida la celebrazione. Cantano i canti di Taizé e leggono preghiere e brani di scrittura. La gente resta seduta sul pavimento, o si inginocchia in adorazione, con le mani e la testa a terra. L’effetto è straordinario. Dimostra che c’è una reale comunicazione ‘spirituale’ attraverso tutti i segni vissuti insieme, il legno, l’immagine, la luce, l’oscurità, le parole, i corpi delle altre persone, il proprio corpo. Non si tratta di una semplice energia fisica prodotta attraverso la postura del corpo, ma il modo in cui creature, corporee che usano simboli, possono accedere ad un significato, nella croce, che cambia tutto circa se stessi e il proprio mondo. Si tratta di mettere in linea il proprio essere umano concreto con la nuova umanità del Crocifisso Risorto[21].

Conclusione

Che dire? Realtà come queste, sia nel modello teorico che ne fa Bartlett nel suo libro, che nella pratica quotidiana della piccola ‘koinonia’ di cui abbiamo parlato come esemplificazione del modello stesso, ci sembrano piccoli fari di luce, grumi di lievito destinati a panificare la massa, granelli di sale che la insaporiscono. In tempi passati anche da noi in Italia abbiamo discusso se la ‘chiesa’ deve concepirsi come lievito e fermento, o piuttosto come massa già lievitata e fermentata; la ‘scelta religiosa’ o la ‘scelta culturale’; come fecondazione interiore delle varie realtà socio-culturali o realtà socio-culturale essa stessa. Oggi, dopo i quindici anni della presidenza ruiniana della CEI, questo dibattito sembra ormai del tutto superato in favore della seconda impostazione: la chiesa ‘deve’ essere culturalmente presente, affermarsi tra le altre realtà ben visibile e riconoscibile con i suoi vessilli e le sue formazioni. Insomma deve ‘imporsi’ all’attenzione di tutti anche nel mondo contemporaneo. Questo ‘dibattito’ tipicamente italiano di qualche decennio fa, esprime in fondo l’alternativa di sempre che si ripresenta non solo nel nostro mondo cattolico, ma anche in altri contesti culturali. In America sarà la scelta fra i gruppi seminali e i movimenti delle mega chiese, in un contesto dove alla chiesa lievito si contrappone non la chiesa istituzione, ma la variegata cristianità da supermarket, altrettanto impositiva della prima. Anthony Bartlett, nella sua proposta, sceglie decisamente la prima alternativa. E in essa vede all’opera, con la freschezza dei primi secoli, quelli ancora non costantiniani, la forza trasformante del Crocifisso Risorto, ma trasformante il mondo del vivere umano e non di una realtà separata dal mondo che si chiama ‘chiesa’. La ‘chiesa’ come lievito sempre in via di nascondimento nel mondo e il mondo, il mondo dell’uomo, come massa in via di panificazione. La visibilità deve essere quella della massa in via di panificazione, non del lievito che per sua natura si deve nascondere nella massa. La ‘chiesa virtuale’ si mostra, insomma, nell’atto stesso del nascondersi. Il modello è il Cristo Risorto dei discepoli di Emmaus; si mostra nella sua identità mentre scompare: ciò che resta è il mondo trasformato dei due discepoli che a loro volta diventeranno agenti di trasformazione del mondo attorno a loro.


[1] F. PIGNOTTI, Dal vecchio ceppo un germoglio di speranza, in Cultura e Prospettive, Gennaio-Marzo 2012 n. 14, Supplemento al numero 1, anno XIII, della rivista culturale Il Convivio, Catania 2012, pp. 76-89. Questo articolo prende spunto dal sito del gruppo denominato WOOD HATH HOPE, http://www.woodhathhope.com. Il termine “hath” è una forma verbale arcaica per la terza persona singolare – indicativo presente – del verbo avere, che nell’inglese moderno è “has”.

[2]  Il fatto che un ‘cristiano fondamentalista’ abbia realizzato il massacro in Norvegia o che comunque abbia utilizzato simbolismi violenti reperibili all’interno della storia cristiana, testimonia di una fatale distorsione del simbolismo cristiano stesso nella tradizione occidentale. I cristiani non possono che prendere radicalmente le distanze da questi simbolismi violenti che circolano all’interno delle chiese e riappropriarsi di una figura di Gesù del tutto diversa  se non vogliano contribuire a questo ‘sfiguramento’ del suo messaggio

[3]  “We are at the crossroads between a fading past and a future yet to come and will never claim to have formed the “one true church” www.woodhathhope.com/story.html

[4] Il gruppo Chrétiens et non violence era guidato da un prete francese che era vissuto a lungo nella comunità dell’Arca di Lanza del Vasto e che ora stava tentando a Grénoble l’esperienze di vivere e proporre i valori dell’Arca in contesto urbano.

[5] In realtà io non sapevo che erano ancora pochissimi i libri di Girard tradotti in inglese e questi circolavano quasi solo negli USA. R. GIRARD, Des choses cachées depuis la fondation du monde. Recherches avec Jean Michel Oughourlian et Guy Lefort, Grasset, Paris 1978; IDEM, Le bouc émissaire, Grasset & Fasquelle, Paris 1982

[6] Bartlett ricorda questa circostanza in un suo contributo ad un libro edito per celebrare l’85 compleanno di René Girard e realizzato con le testimonianza dei principali autori girardiani che raccontano il proprio incontro con l’antropologo. Scrive Anthony Bartlett: “The book was passed on to me by a friend, who himself received it in circumstances that pressed the book into his grasp. My friend, an Italian named Franco, was spending time in the south of France in the religious community of Lanza del Vasto, a group dedicated to nonviolence and social justice. Things Hidden since the Foundation of the World was  much valued and discussed among members of this community and the book came to Franco with their ringing endorsement. Shortly afterword he visited me in England and bought the volume with him. My friend and I shared many discussions on theology, literature, politics, this book seemed simply to continue the conversation. Franco had underlined it in many places, and as I read it, I continued to hear him speaking; but now, progressively, another, insistent voice rose to the surface, that of René Girard” For René Girard. Essays in Friendship and in Truth. Edited by Sandor Goodhart, Jorgen Jorgensen, Tom Ryba and James G. Williams, Michigan State University  Press, East Lansing (Michigan) 2009, pp. 223-224

[7] R. SCHWAGER, Brauchen Wir Einen Sundenbock? Kosel-Verlag GmbH & Co. Munich 1978, traduzione inglese Must There be a Scapegoats? Violence and Redemption in the Bible, Crossroad, New York 2000; JAMES G. WILLIAMS, The Bible, Violence and the Sacred. Liberation from the Myth of Sanctioned Violence, Trinity Press International, Velley Forge 1995

[8]  Anthony Bartlett ha conseguito il suo Dottorato alla Syracuse University nel 1999 e nel 2001 ha pubblicato la sua tesi con il titolo di Cross Purposes. The Violent Grammar of Christian Atonement. Trinity Press International, Harrisburg, Pennsylvania, lavoro dedicato allo ‘smascheramento’ del concetto di espiazione che ha prodotto una così lunga storia di giustificazione della violenza nell’occidente cristiano,

[9]  Attualmente insegna all’Episcopal Seminary di Bexley Hall, in Rochester (N.Y.) come Assistant Professor in Teologia.

[10] A. Bartlett, Virtually Christian. How Christ Changes Human Meaning & MakesCreation New. O-Books, Washington, USA 2011

[11]  A. BARTELETT, Virtually Christian, p. xi “In memoria di Carlo Carretto che ha visto il mondo pieno di contemplazione e ha condiviso la sua luce con quelli di noi che erano nella comunità di Spello negli anni 1983-84”

[12]  Complice anche la teoria anselmiana della sostituzione vicaria che ha veicolato una idea violenta di Dio, come dimostra nella sua prima pubblicazione Cross Purposes

[13]  Virtually Christian, “I have been so longing to get to this chapter! Because it is the heart of everything dealing with the practical ways in which all this can impact in actual human life” p. 171

[14]  “Finally my heartfelt tanks are due … to my faith community, Wood Hath Hope, for providing the sounding-board for much of the content here and the pattern for a great deal of what is presented in chapter six” Virtually Christian, p. 4

[15]  Il termine “virtuale” è una delle chiavi per comprendere tutto ciò che l’autore vuole dirci in questo libro. Esso viene usato nel senso della sua radice latina, virtus, quindi come ‘forza’ o ‘potenza’. Il virtuale è ciò che ha la forza della realtà, anche se non è pienamente in vigore o realizzata. Non si riferisce al mondo dell’irreale o dell’inautentico; ma esprime ciò che è ancora provvisorio. “Virtually Christian” significa “potenzialmente cristiano”, un modo diverso di esprimere il concetto escatologico del “già” e del “non ancora”.   La ‘chiesa virtuale’ è dunque la chiesa come realtà provvisoria, già innervata nella storia, segno della presenza trasformante di Cristo, in processo di trasformazione essa stessa, che cammina verso la pienezza della nuova umanità  significata da Cristo.

[16]  Bartlett, dal punto di vista esegetico, si appoggia sulle analisi di Raymund Brown, il maggior esegeta cattolico dei quattro scritti giovannei: il IV vangelo e le tre lettere.

[17]  Virtually Christian, p. 207

[18]  Carlo Carretto nel suo libro più volte citato, Ho cercato e ho trovato, vedeva tutto questo emergere nelle nuove realtà dei movimenti ecclesiali. Oggi il giudizio sui movimenti ecclesiali dovrebbe essere sicuramente più sfumato e diverso.

[19]  I commenti ai diversi libri della Bibbia prodotti da Bartlett nella e per la piccola comunità di WHH vengono pubblicati oltre che sul sito del gruppo, anche sul sito http://www.preachingpeace.org/

[21]  ivi

 

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