Francesco il profeta

Francesco, il profeta

di Christine Pedotti

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Questo papa non cessa di stupirci. Con il viaggio appena terminato in Africa, porta avanti il grande decentramento del cattolicesimo. Lo fa pendere verso il sud, ma soprattutto verso i poveri e in definitiva verso il Vangelo.

È un’immagine che le televisioni non hanno trasmesso molto, quella di papa Francesco che apre la “Porta santa” della cattedrale di Bangui. Era il 30 novembre: papa Francesco decideva con questo gesto che l’Africa sarebbe stata “in anticipo”, poiché il Giubileo straordinario della misericordia che apre l’Anno santo comincia l’8 dicembre a Roma, nel giorno del 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Il gesto di Bangui non si sostituisce a quello di Roma, atteso da migliaia di pellegrini, ma comunque, pensate che simbolo! In un certo senso, è proprio lo “stile Francesco” che si esprime in questa scelta. Per dirla più chiaramente, Francesco non è il papa delle nazioni del nord o dell’occidente cristiano. Questo papa che viene dall’altra parte del mondo vi ha lasciato il cuore, l’anima e l’intelligenza. Li ha lasciati dalla parte dei poveri, dei miliardi di poveri del nostro pianeta. È per loro che parla di ecologia, è per loro che parla di misericordia, ed è per loro che non vuole lasciarsi trascinare in una discussione da gesuita (di casuistica) sul preservativo, nonostante le sollecitazioni di un giornalista sull’aereo che lo portava in Kenya.

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Può darsi che noi troviamo tutto questo un po’ sgradevole. È normale. È molto sgradevole non essere più il centro del mondo. Evidentemente, è ancora più difficile per i cattolici “legati alla tradizione” che mettono al primo posto delle loro preoccupazioni la salvaguardia della dottrina “di sempre”, ex aequo con la difesa della cultura cristiana occidentale, e che pensano che le bionde signore Le Pen li proteggeranno dal mondo in trasformazione. Ma anche per i cattolici più “progressisti”, ci può essere frustrazione. Porta Bangui 6Quando il papa pensa alla famiglia, non vede le nostre famiglie, un po’ divise, un po’ ricomposte; vede le donne sole, abbandonate, le madri Coraggio del sud che sopportano il peso del quotidiano e delle ingiustizie. È a loro che lavava i piedi quando era arcivescovo di Buenos Aires. Quando parla dei poveri, non vede quelli che, alle nostre latitudini, vivono male tra i minimi sussidi sociali e le mense dei poveri. Vede quelli che muoiono di fame. Vede i bambini di strada, con la pancia vuota, drogati di colla o peggio, per resistere, pronti a tutto, anche a vendere se stessi, se già non l’hanno fatto i loro genitori. Necessariamente, anche se ci teniamo a condividere l’attenzione ai poverissimi, siamo anche preoccupati dalle inquietudini del nostro vecchio mondo, impigliato tra la postmodernità e le tentazioni identitarie, e siamo un po’ delusi. Ma sarebbe un peccato fermarsi lì, perché quest’uomo ha una levatura da profeta, nel senso antico del termine, come i suoi predecessori della Bibbia: con tutto il suo corpo fa vivere la Parola che porta.

Porta Bangui 4Nella cattedrale di Bangui, là dove diciotto mesi fa, il 28 maggio, in seguito a grandi scontri tra cristiani e musulmani succedutisi in vari momenti dal 2013 l 2014, dei musulmani avevano sparato con armi pesanti, provocando quindici morti e molti feriti, il papa, citando il discorso del monte e l’invito alla perfezione (Mt 5,46-48) ricordava: “Una delle esigenze essenziali di questa vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gesù ha tenuto ad insistere su questo aspetto particolare della testimonianza cristiana (cfr Mt 5,46- 47). Gli operatori di evangelizzazione devono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia”.

È questo luogo, teatro di una carneficina, in una città che ha ancora le ferite aperte, che il papa ha scelto per aprire l’Anno della misericordia, senza preoccuparsi della sua sicurezza e dei segnali d’allarme dei servizi di informazione che temevano che la sicurezza non avrebbe potuto essere correttamente assicurata.

Questo papa non è un cristiano di facciata e non ci chiede di essere cristiani da operetta. “Artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia”, ecco il programma. Sono parole che il papa dice anche per noi, mentre anche il nostro paese è vittima di attacchi sanguinosi. Questo appello alla misericordia non esclude evidentemente il dovere di proteggersi, di cercare i colpevoli, di impedire altri drammi, ma ci ricorda che la pace vera passa attraverso il perdono.

Un giovane padre, la cui moglie è una delle vittime del 13 novembre, scriveva, il giorno dopo il dramma, rivolgendosi agli assassini e a coloro che le manipolano: “Non avrete il mio odio”. Non si potrebbe illustrare meglio la novità dell’esigenza evangelica: il rifiuto dell’odio, della vendetta. Insomma, in questo mondo sempre più globalizzato, questo papa venuto dal sud è anche il nostro papa.

Porta Bangui 5

Articolo pubblicato su Temoignage Chretien, 8 Dicembre 2015,
traduzione di  www.finesettimana.org

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