I fioretti di papa Francesco

Uno, anzi due colpi d’ala!

Tutto era cominciato all’interno della Cappella Sistina, sotto le volte affrescate dal grande Michelangelo su ordine di Giulio II, il papa che preferiva indossare l’armatura e marciare alla testa dell’esercito pontificio più che il camice e la stola per dire messa. Era in corso il conclave per l’elezione del 266mo ‘Pontiphex Maximus” dopo che un papa teutonico, che di teutonico in realtà aveva davvero poco con il suo carattere mite e impacciato, incline alla tristezza tipica dei grandi intellettuali,  aveva rinunciato allo stesso titolo, sbalordendo il mondo, per una semplice considerazione di ragionevolezza: una persona troppo anziana deve potersi dedicare solo alla preghiera e lasciare la fermezza del timone della ‘barca di Pietro’ a mani più sicure.

Papa FrancescoSu uno dei 115 scranni di questo moderno Senato Romano sedeva il cardinale brasiliano, Claudio Hummes, appartenente all’ordine dei Frati Minori Francescani un tempo grande fautore della teologia della liberazione, ma ora, divenuto cardinale di curia addetto alla Congregazione per il Clero, spostatosi sui posizioni molto più tradizionali e in linea con il potere. Gli erano stati perdonati i suoi errori di gioventù quando da giovane arcivescovo francescano di Porto Alegre amava dare il proprio appoggio alle lotte operaie, apriva le chiese alle manifestazioni contro la dittatura  militare e partecipava alle marce insieme ai metalmeccanici. L’ultimo guizzo di arcivescovo progressista era stato quando, in partenza da San Paolo per Roma dove avrebbe dovuto occuparsi della Congregazione per il Clero, aveva dichiarato che forse era ora che la chiesa cominciasse a prendere in seria considerazione l’idea di rivedere l’obbligo del celibato sacerdotale. Giunto a Roma gli avevano fatto capire che non era proprio il  caso, per un uomo come lui, sostenere queste posizioni ‘aperturiste’ ed era stato ‘aiutato’ a scrivere immediatamente un documento, come primo atto del suo nuovo incarico, per riaffermare solennemente “L’importanza del celibato sacerdotale”.

Accanto a lui, sotto le grandi volte michelangiolesche, sedeva il cardinale argentino di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, appartenente all’ordine dei Gesuiti che con la teologia della liberazione non aveva mai avuto veramente a che fare, di cui anzi si vociferava un passato molto tiepido nei confronti di quei preti comunisti, gesuiti come lui, finiti nel mirino della terribile dittatura militare che non aveva esitato ad imprigionarli e torturarli. Jorge Mario Bergoglio però poteva vantare un curriculum di tutto rispetto quanto a immersione popolare, semplicità di vita, contatto con la gente povera di ogni tipo. Divenuto arcivescovo di Buenos Aires aveva rifiutato di andare ad abitare nel palazzo dell’arcivescovado e si era preso in affitto un appartamentino vicino che condivideva con altri preti e dove era lui stesso a cucinare per tutti; aveva rifiutato qualsiasi tipo di auto blu e girava in bicicletta, autobus e metropolitana. In certi quartieri delle periferie anche malfamate della capitale argentina, che conta oltre 17 milioni di abitanti, dove neanche la polizia si azzarda ad entrare, dove vivono poveracci, senza tetto, alcolizzati, drogati, criminali e santi, lui era  abitualmente di casa, spesso in visita ai preti che avevano scelto la condivisione totale con questa gente e per questo si era meritato il titolo di “cardinale dei poveri”. Aveva sempre rifiutato proposte di incarichi prestigiosi presso la curia vaticana, luogo dove non amava andare. Nel conclave del 2005 che aveva eletto il cardinale bavarese Joseph Ratzinger lui ne era stato un pericoloso concorrente fino a quando non aveva pregato i suoi sostenitori a lasciar perdere perché non avrebbe comunque accettato la carica di pontefice.

Quanto a questo suo secondo conclave, il  cardinale dei poveri si sentiva sicuro, nessuno dei grandi opinion maker aveva mai fatto il suo nome tra i papabili, nei totopapa lui non era stato nemmeno preso in considerazione ed aveva in tasca il biglietto di rientro a Buenos Aires per lo stesso giorno seguente la chiusura del conclave: non avrebbe neanche aspettato l’insediamento ufficiale del nuovo Sommo Pontefice. Ma qualcosa di strano stava accadendo all’interno del senato ecclesiale: mai come questa volta stava diventando vero il motto “chi entra papa esce cardinale” e nomi nuovi erano venuti fuori sin dall’inizio, e fra questi, pericolosamente, il suo. I due cardinali sudamericani che sedevano vicini erano amici di vecchia data e man mano che le quotazioni del cardinal Bergoglio crescevano, insieme al suo sudore freddo, il cardinale Hummes lo consolava facendogli coraggio. A quota 77, l’aula si profuse in un grande applauso, mentre lo scrutinio procedeva ancora per molto e il cardinale francescano, abbracciava con affetto il cardinale gesuita facendogli coraggio, baciandolo e sussurrandogli all’orecchio una raccomandazione: “Non ti dimenticare dei poveri”. Forse più che una raccomandazione, un vero e proprio ammonimento frutto della propria esperienza: ‘i palazzi del potere fanno dimenticare le strade dei poveri; tu diventa papa ma non ti dimenticare degli slums di Buenos Aires e di ogni altra parte del mondo’.

Nel cuore dell’anziano gesuita, in tumulto per ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi, ma ora pronto all’accettazione di quell’incarico che aveva rifiutato otto anni prima,  il bacio e la raccomandazione del cardinale brasiliano, che in quella raccomandazione sembrava aver tradito una personale inquietudine di francescano costretto al compromesso, avevano fatto emergere una figura luminosa, il santo dei poveri, san Francesco di Assisi, il santo che era andato a chiedere ad Innocenzo III, il papa più potente che la storia cristiana abbia mai avuto, davanti al quale anche re ed imperatori erano costretti ad inchinarsi, la possibilità di vivere come Gesù Cristo, in povertà ed in fraternità. Ora a lui stava toccando in sorte di diventare uno dei successori di Innocenzo III, ma il suo cuore gli stava dicendo che avrebbe dovuto prendere a modello l’esatto opposto del suo esimio predecessore, il campione dell’anti-istituzione, colui che baciava i lebbrosi e viveva con loro, che lodava Dio per ogni creatura, che ammansiva i lupi e si sentiva vicino ad ogni povero, ad ogni ‘minores‘, che inviava i suoi fratelli presso i musulmani e chiedeva loro di vivere tra loro, sottomessi a tutti, testimoniando con il silenzio e la vita operosa le propria fede in Gesù Cristo.

Fino a lui ogni papa aveva finito sempre con il prendere il nome di un altro papa suo predecessore, come per continuazione di una linea dinastica sui generis si, ma sempre rigorosamente dinastica. Lui no, il suo cuore gli stava dicendo che era giunto il tempo per un cambio di dinastia, era giunto il tempo di abbassare i potenti e innalzare gli umili. Francesco di Assisi, il santo della povertà in un mondo dalle disuguaglianze scandalose, della fraternità in mondo di egoismo sfrenato, dell’amore per il creato alle soglie dei disastri ecologici, della pace in mondo feroce di guerre e conflitti.  Tutto questo gli passava per la mente mentre gli scrutatori finivano di pronunciare per l’ennesima volta il nome del cardinal Bergoglio. Terminato il sacro spoglio della sacra elezione, eletto il sommo pontefice, era anche pronto il suo nuovo nome e il santo tutelare di questo nuovo ed ‘ultimo’ pontificato, stando a “Le profezie di Malachia”, “papa Francesco”. L’umile poverello di Assisi settecento anni fa aveva intrapreso a piedi da Assisi un lungo cammino per andare a Roma, dal papa,  a chiedere il permesso di vivere secondo la regola del santo vangelo, e poi aveva continuato a camminare per le vie del mondo come segno del vangelo ‘sine glossa’, senza commenti. Ora dopo settecento anni il suo spirito era giunto al cuore stesso dell’Istituzione, generando una grande speranza: ora o mai più! Una speranza che non deve andare delusa. Un tornante della storia.

Ci aspettiamo grandi cose da questo uomo semplice che saluta tutti, dal balcone papale, con un semplice ‘buona sera’, che poco prima, al cardinale che voleva mettergli la mantellina rossa tipica del papa, gli aveva detto: “Questa la metta lei”, e che prima di benedire la folla di piazza san Pietro e il mondo intero, chiede lui stesso alla folla di essere benedetto per primo e che si inchina per ricevere questa benedizione di Dio impetrata dal popolo per il suo vescovo e che solo dopo impartisce la sua solenne benedizione “urbi et orbi” ma che è diventata così uno scambio di preghiera e di benedizione fra ‘vescovo e popolo” per un nuovo cammino comune, vescovo e popolo, verso una ‘Chiesa di Roma’ più degna del suo compito, quello di ‘presiedere nella carità a tutte le altre chiese del mondo’ compito nel quale consiste il papato stesso. Papato che, letto in questo modo, non è più la carica semidivina di un, idolatricamente semidivinizzato, ‘dolce Cristo in terra’, ma la missione di una intera chiesa, vescovo e popolo, la chiesa di Roma fondata sulla testimonianza e sul sangue dei due grandi apostoli Pietro e Paolo e di innumerevoli altri martiri. Del resto, in questa sua prima apparizione, papa Francesco non usa volutamente il, di per sé bel, termine ‘papa’ (padre, papà, ecc.), tanto meno il paganissimo termine “Sommo Pontefice” (quel ‘pontiphex maximus’ prerogativa degli imperatori romani pagani, ereditato inopinatamente dal ‘vescovo di Roma’). Papa Francesco, nella sua prima apparizione martella sui termini ‘vescovo e popolo’ con una insistenza testarda.

Da quel momento inizia a diffondersi, grazie al lavoro di una stampa stupita quando l’alto funzionario o il più umile dei passanti, tutta una serie di fioretti di papa Francesco. Quella sera stessa per tornare alla casa del clero dove era alloggiato come cardinale, prende lo stesso pulmino di tutti gli altri e si siede, con la sua bianca veste e le sue grosse scarpe nere poco papali, in uno dei sedili centrali come un qualsiasi viaggiatore, a cena rifiuta di sedersi a capotavola, il giorno successivo rifiuta l’auto di lusso adibita al trasporto del papa, va a pregare la Madonna in un santuario di Roma, presentandosi con un mazzo di fiori che depone sull’altare; rifiuta di vedere un cardinale colpevole di insabbiamenti di casi di pedofilia del clero; tornando in Vaticano si fa portare a fare le valigie alla casa del Clero e paga di persona il conto del soggiorno ad una suora stupefatta che dice: “ma cosa fa Santità, Lei non deve pagare”, al che papa Francesco risponde con un naturale “e perché mai? Il papa deve dare l’esempio”. Avvertiamo in questo, o meglio questa è la nostra speranza, il tremare delle strutture del potere davanti alla rivoluzione di Francesco portata al cuore dell’istituzione stessa. Forse le nostre speranze e i nostri sogni andranno delusi, probabilmente le spire del potere riusciranno a neutralizzare questo grande sogno collettivo che in questi giorni sta prendendo corpo. Ma sentire un papa dire “Sogno una Chiesa povera e dei poveri” è qualcosa di grande, di inaudito, un sogno che forse solo un papa sudamericano poteva portare dentro il cuore dello stesso Vaticano.

Per ora questi piccoli segni sono solo “i fioretti di papa Francesco”, ma ben altre cose ci aspettiamo da lui. Papa Francesco, speriamo consapevolmente, ha deciso di correre un grande pericolo, quello di svegliare i sogni, e quando si svegliano i sogni, tutto può cambiare, in bene o in peggio. Don Luigi Ciotti, a nome di tanti uomini di buona volontà, cristiani e non ha già iniziato a presentare il conto: come prima cosa cominci a trasformare lo IOR in una Banca Etica. Proposta assolutamente coerente: non chiede l’abolizione dello IOR, la Chiesa è una grande realtà e ha bisogno anche di gestire il denaro e se non c’è lo IOR ci sono comunque le altre banche, che non sono da meno. Però nel mondo finanziario c’è il sogno concreto della Banca Etica, che è una banca e fa le funzioni della banca, ma agisce rigorosamente nel codice etico della trasparenza e della solidarietà, esattamente ciò che ci si aspetta da qualcosa che ha a che fare con i discepoli di Gesù di Nazareth, come con ogni uomo di buona volontà

La teologia cattolica dice che lo Spirito Santo assiste il papa. Lungo la storia troppo spesso è davvero difficile vedere questo Spirito santo all’opera …. troppo spesso abbiamo piuttosto visto il contrario. Ma a partire dall’ultima domenica di carnevale del 2013, da quell’undici febbraio quando le agenzie di stampa hanno incominciato a diffondere la notizia, inizialmente da tutti creduta appunto uno scherzo di carnevale, della rinuncia di papa Benedetto XVI, fino a giungere al 13 marzo quando abbiamo ascoltato il primo discorso di papa Francesco, ci è sembrato davvero vedere e sentire il battito delle ali della colomba divina. Eravamo nella palude. La chiesa era nella palude da mesi e da anni, tra scandali finanziari dello IOR, pedofilia del clero e coperture istituzionali, sberleffi lefevriani, dibattiti teologici da sesso degli angeli (il pro multibus invece che il pro omnibus) e Vatileaks. Improvvisamente come un colpo fulmine a ciel sereno, che qualcuno sembra aver effettivamente fotografato sul parafulmine della cupola di San Pietro, il papa conservatore Benedetto XVI fa una scelta assolutamente rivoluzionaria nel nome di una ragione umana che proprio lui si è sforzato di coniugare con la fede in tutto il suo settennale pontificato: dice al mondo che dopo averci pensato a lungo davanti a Dio, ma nella sua coscienza umana, si sente troppo vecchio per continuare a fare il papa, intende continuare a servire la Chiesa come lo fanno da sempre i monaci e le monache, nella preghiera, e lasciare il timone della barca di Pietro in mani umanamente più energiche. Papa più laico di questo non potevano avere. Una grande scelta di fede, rivoluzionaria ma laica, perché fondata sulla laicità della ragione umana e della sua insindacabile coscienza! Lezione di un papa, e di papa Ratzinger! Dicono che stava scrivendo una enciclica sulla fede, che non vedrà mai la luce almeno con il suo nome. Immagino che mentre stava scrivendo, ad un certo punto abbia detto: questa enciclica la voglio scrivere non sulla carta, ma nella mia carne di uomo, di cristiano e di papa. E l’ha scritta: l’enciclica del primato della coscienza che laicamente si interroga davanti a Dio, l’enciclica del primato della ragione umana illuminata dalla fede; l’enciclica del primato della contemplazione sulla azione anche per un papa; l’enciclica del c’è un tempo per governare e un  tempo per pregare; l’enciclica del rispetto della vecchiaia e della malattia; l’enciclica della fede appunto che crede nella ventata dello spirito, nel colpo d’ala che improvvisamente ti fa staccare dalla palude e inaugurare un tempo nuovo il tempo della speranza.

Al primo colpo d’ala di papa Benedetto, che decide nella sua vecchiaia, contro la consuetudine di una storia millenaria, di ritirarsi a fare il monaco come prefigurato nel suo stesso nome e dal suo stesso santo tutelare (San Benedetto da Norcia); corrisponde un secondo colpo d’ala di papa Francesco, che decide nella sua nuova funzione di papa, contro la consuetudine di una storia millenaria di questa istituzione, di assumere un nome nuovo il cui santo tutelare è il santo dell’anti istituzione per eccellenza (San Francesco d’Assisi), il santo dei poveri per una Chiesa povera e dei poveri. Auguri a papa Francesco e a tutti noi. Che sia la volta buona? Lo vogliamo sperare con la “S” maiusola!

 Franco Pignotti

 

 

 

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