HEKA,
ovvero la ricerca dell’acqua nella savana
Chissà perché, Heka mi ricorda tanto il Deserto dei tartari di Dino Buzzati. Una sorta di fortezza posta ai confini del mondo; oltre, una oscura minaccia da fronteggiare: i tartari per Dino Buzzati; la sete per Heka! Dopo un lungo silenzio durato molte settimane, ieri sera sono finalmente riuscito a fare una lunga chiacchierata, tramite Skype, con padre Remo Villa, missionario della consolata che vive e lavora in questa sperduta località dell’altopiano tanzaniano, Heka, 47 kilometri di strada sterrata nella savana, dopo aver abbandonato Manyoni, l’ultima cittadina degna di questo nome, con qualche struttura comunitaria che ne fa un centro di provincia, seppure sia poco più che una grande estensione di baracche, posta a 600 kilometri da Dar es Salaam, sulla direttiva che porta ai grandi laghi. La comunicazione era abbastanza disturbata, ma nitida; padre Remo sembrava in forma, preoccupato solo che l’accumulo di corrente elettrica realizzata durante la giornata dai pochi pannelli solari della missione, reggesse fino alla fine della conversazione. La stagione delle piogge è ormai terminata, gli ultimi scrosci d’acqua ci sono stati la settimana scorsa. Il clima si è fatto più fresco e per almeno un paio di mesi si starà davvero bene. L’acqua ora scorre nei ruscelli, è presente nei piccoli invasi naturali. Ma poi ricomincerà a scarseggiare, man mano che la lunghissima stagione asciutta farà sentire la sua morsa. Le prossime piogge torneranno ancora alla fine di novembre e a dicembre. Nel frattempo la terra, gli uomini e gli animali riprenderanno la loro dura lotta per qualche goccia d’acqua, per non morire di sete.
Il villaggio di Heka quest’anno sarà più fortunato, avrà acqua a disposizione più a lungo e dovrebbe arrivare alle prossime piogge senza troppe difficoltà, sicuramente in modo migliore degli altri anni. Seppure in extremis, potremmo dire con metafora calcistica, “ai tempi supplementari”, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2012 era stato finalmente possibile realizzare un sogno lungamente pensato ed atteso: la ripulitura e l’ampliamento dell’invaso per la raccolta delle acque piovane. Il progetto idrico, per il quale Aloe si era fatta promotrice su richiesta di padre Remo che ne aveva avvertito tutta l’urgenza, avrebbe dovuto prendere l’avvio in ottobre, con la presenza ad Heka di due nostri volontari, Eugenio Monaldi e Massimo Giannetti. Tutto sembrava pronto.
La ditta che possedeva la strumentazione adatta, il bulldozer, e con la quale era già stato fatto un contratto, aveva assicurato la sua presenza per quei giorni. Ma poi, come succede spesso in Africa, le cose si complicano, sembrano diventano impossibili, e la cosa non era andata a buon fine. Improvvisamente invece, la soluzione era stata trovata all’ultimo momento, e a stagione delle piogge già praticamente iniziata, tra il 26 novembre e il 5 dicembre, un bulldozer nuovo di zecca era apparso all’orizzonte di Heka e aveva magnificamente fatto il suo lavoro, mentre la gente continuava a scavare dove poteva pozzi dfi fortuna nei letti secchi dei fossi e riuscire a ricavare un secchio d’acqua da qualche parte era davvero un’impresa. Sul finire dell’anno il laghetto, che ora poteva contenere almeno il triplo di acqua, poteva cominciare ad usufruire di abbondanti piogge e grande è stata la gioia di tutti, anche nostra, nel vedere l’invaso finalmente pieno di tanta acqua. Ora che le piogge se ne sono andate, e tutto dipenderà sempre più dall’acqua che la terra sarà riuscita a trattenere, questa realizzazione comincerà a diventare sempre di più, man mano che le settimane passeranno, molto più preziosa dell’oro, perché si tratta appunto di ‘oro blu’, anche se qui i colori dell’acqua saranno tendenti più verso la stessa tonalità di colore della terra rossa.
Il missionario, in questi mesi di pioggia, non è stato con le mani in mano. La sua ricerca di una ditta seria alla quale affidare i lavori futuri è stata coronata di successo. Già lo scorso anno, prima dell’avvio della stagione delle piogge, il progetto prevedeva non solo la ripulitura dell’invaso di Heka, ma anche la creazione ex novo di un invaso a Mpoli, un villaggio vicino completamente sprovvisto di laghetto per la raccolta delle acque. “Adesso è tempo di rimettersi in moto per Mpola”, mi ha detto padre Remo. A breve si farà una riunione con la gente e le autorità del villaggio per cominciare a programmare concretamente il progetto, che richiederà almeno un mese di lavoro e il coinvolgimento della gente. Ma la cosa più importante, e padre Remo sprizzava gioia nel riferirmelo, era che aveva scoperto come, in una missione a circa 400 kilometri da Manyoni, c’era tutta l’attrezzatura necessaria per questo genere di lavori: un camion, una ruspa e un bulldozer. Si tratta di una missione tenuta da una diversa congregazione religiosa, e posta in una zona molto simile a quella di Heka, quanto al problema dell’acqua. Il missionario, che ne è il responsabile da molti anni, è una persona che p. Remo aveva conosciuto oltre trenta anni fa, per aver condiviso con lui i primi passi in Tanzania nell’apprendimento della lingua locale al loro primo arrivo in questo paese africano.
“Almeno il denaro per i lavori di Mpola, andranno ad un’altra missione e certamente questa volta potrò fidarmi fino in fondo” mi ha detto raggiante padre Remo. Non possiamo che augurargli buona fortuna e fare bene la nostra parte di retroguardia. Tanto per usare una metafora bellica, ma per parlare di solidarietà: le battaglie vengono fatte insieme sia dalle avanguardie che dalle retroguardie. E il nostro lavoro, per sostenere il progetto idrico, non è meno difficile di quello sul campo.
Franco Pignotti