Missionari, volontari, cooperanti: c’è posto per tutti!

Erica e Jerome:
una famiglia per la cooperazione

Prosegue il corso IL SENSO DEL PARTIRE, giunto con sabato 29 marzo al suo quarto appuntamento presso la ex stazioncina della contrada Molini Conceria di Fermo.

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Avrebbe dovuto essere presente il missionario della consolata padre Remo Villa, in servizio da 40 anni in Tanzania, ma a causa di un cambio nei suoi programmi di rientro in Italia, la sua testimonianza sarà posticipata ad altra data durante il corso, che durerà sino alle fine di maggio. L’incontro di ieri, invece, ha avuto come ospiti particolari una bellissima famiglia da poco rientrata dal Mali, Erica Minnetti e Jerome Socie, insieme ai loro bambini Emma, Etienne ed Edoardo. Cooperanti internazionali di lungo corso (Kenya, Tagikistan, Palestina, Rep. Centroafricana e Mali), Erica e Jerome hanno centrato la loro testimonianza sulla Palestina, una terra drammatica che ora sembra scomparsa dall’attenzione pubblica, ma che resta centrale nello scacchiere dei conflitti mediorientali.

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Erica e Jerome, lei petritolese e lui parigino, conosciutisi in Tagikistan nell’ambito di un progetto di cooperazione, hanno trascorso in Palestina ben quattro anni, facendo la spola tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza. Le loro foto e i loro racconti sono riusciti a trasmettere la drammaticità di una situazione fatta di barriere infinite e di sofferenze quotidiane di una popolazione a cui è stato privato qualsiasi possibilità di libero movimento sulla loro terra, soprattutto a partire dalla guerra del 1967 quando l’esercito israeliano ha occupato stabilmente i territori della Palestina. Accanto alle inaudite restrizioni di movimento delle popolazioni palestinesi, il processo, che dura imperterrito ancora oggi, di esproprio dei terreni migliori che vengono occupati dagli insediamenti israeliani sempre più numerosi e sempre più fortificati; una situazione di apartheid che sembra far impallidire perfino quella sudafricana.

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“La mancanza di lavoro era una realtà drammatica che colpiva la maggioranza della popolazione locale”, racconta Jerome. “A partire dalla II Intifada, Israele che già occupava i Territori Palestinesi dalla guerra del 1967, aveva cominciato ad istituire un sistema di check-point fissi e temporanei, riducendo notevolmente sia il passaggio di persone che lo scambio di merci e di valuta fra israeliani e palestinesi, bloccando di fatto l’economia e ogni tipo di investimento. Molti avevano perso il lavoro, i prezzi dei beni erano diventati proibitivi, le merci rare. La conseguenza era stata una altissima percentuale di disoccupazione tra le persone in età da lavoro, con la maggioranza delle famiglie sotto la soglia della povertà. A Gaza, in particolare, la situazione era, e resta, drammatica, perché il blocco è totale: quando manca l’elettricità o il carburante si ferma tutto, persino l’ospedale, con evidenti danni per i malati”.

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Per dare un po’ di sollievo alla popolazione, la Commissione europea per gli aiuti umanitari,  ECHO (European Community for Humanitarian Office) aveva istituito il progetto “Job creation”, ribattezzato dalle ONG “cash for work” (contanti per lavoro). Lo scopo era quello di diffondere moneta corrente in tutti i villaggi, promuovendo lavori temporanei. Il progetto, curato da Jerome ed Erica per parte del COOPI, la ONG per la quale lavoravano, prevedeva una turnazione di 3 mesi in ogni villaggio, dove ogni capofamiglia per 20 giorni poteva beneficiare  di un lavoro retribuito con denaro europeo e destinato a  piccoli lavori di ristrutturazione, particolarmente graditi alla popolazione, perché effettivamente utili (es. costruzione di marciapiedi, ecc.), durevoli, in grado di aggiungere nuove abilità a chi si prestava, con una triplice finalità: immettere denaro liquido nel mercato locale, creare opportunità di formazione lavorativa e realizzazione di lavori effettivamente utili alla comunità locale. Il fatto che la gente poteva inoltre disporre di piccole somme di denaro, rimetteva in moto anche il piccolo mercato locale. Il progetto, seguito sia nella West Bank (Cisgiordania) che a Gaza da Jerome come Coordinatore generale e da Erika come amministratrice, è riuscito a portare sollievo, durante i quattro anni della loro permanenza,  a circa 20.000 beneficiari su una popolazione di 3.500.000 persone.

Cinque anni fa, a Betlemme, nasce Emma, la loro primogenita, e l’anno successivo rientrano in Italia al termine del loro contratto di cooperazione. Dopo l’esperienza della Palestina, la coppia ha lavorato ancora in altri due progetti, questa volta in Africa, prima a Bangui, la capitale del Centrafrica e poi a Bamako, la capitale del Mali. E man mano la famiglia cresceva: ad Emma si sono aggiunti prima Etienne e poi Edoardo; quest’ultimo protagonista anch’egli al nostro incontro di sabato 29, non convinto che la mamma Erica dovesse occuparsi di tanta gente sconosciuta invece che solo di lui!

Nelle loro parole abbiamo potuto sentire tutto l’amore specialmente per la popolazione sfortunata della Palestina, una popolazione con la quale, a differenza di altre situazioni da loro vissute altrove, era stato possibile creare una vera relazione sia di lavoro che di amicizia alla pari, cosa che li ha fatti sentire profondamente immersi nel dramma del paese.

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La loro testimonianza come cooperanti internazionali, è stata preceduta da una introduzione, tenuta da Franco Pignotti, dal titolo “Missionari, volontari, cooperanti: c’è posto per tutti”, il cui scopo era quello di orientare nella giungla delle diverse ‘figure’ e delle diverse ‘organizzazioni’ che si occupano di solidarietà internazionale. Pur proiettati nella medesima direzione, infatti, le tematiche della ‘missionarietà’, del ‘volontariato’ e della ‘cooperazione’ internazionale presentano caratteristiche e specificità proprie.

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Trattandosi di un ultimo sabato del mese, il pomeriggio di formazione si è poi prolungato in un bel momento conviviale a base di couscous e di tante altre buone cose della cena condivisa, mentre le tematiche e le testimonianze del pomeriggio si prolungavano nel dialogo semplice e spontaneo tra i partecipanti. Il momento conclusivo del dopo cena è stato dedicato al ricordo del nostro grande amico Lucidio Ceci, che un mese fa è deceduto in Bangladesh sua terra di elezione e di missione, una persona con la quale abbiamo camminato per 14 anni e che ci ha insegnato come la vera solidarietà non sia quella che si adopera per i poveri, ma quella di condividere in tutto e per tutto, sino alla fine, la vita dei poveri per cercare insieme a loro il riscatto verso per una umanità degna di questo nome.

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