Siria

Il giardino dell’armonia in un mondo feroce

Improvvisamente e senza alcun apparente preavviso, come un fiume carsico che repentinamente appare e tutto travolge, a partire dal gesto estremo di un giovane tunisino che il 17 dicembre 2010 si era dato fuoco sulla piazza centrale di Tunisi, il Mondo Arabo del Magreb e del Mashrek ha cominciato a sollevarsi con manifestazioni popolari senza precedenti, che hanno travolto regimi solidi e dittatori inamovibili, dando l’avvio a quella che è stata subito, ma forse troppo presto, definita come la ‘Primavera Araba’. Dal 15 marzo 2011, questo movimento ha raggiunto la Siria, dopo aver sconvolto la Tunisia, l’Egitto, la Libia, lo Yemen, il Barheim, e altri paesi. Ma in Siria, come già altrove, la primavera si è subito tramutata in dura agonia invernale. In questo paese, secondo il commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, al 13 dicembre 2011, erano già oltre 5.000 le persone che erano state uccise in nove mesi di rivolta. Non passa giorno che le agenzie giornalistiche non proclamino il loro bollettino di guerra e la conta dei morti.  La sofferenza indicibile di questa popolazione fiera e determinata a conquistarsi la propria libertà, genera una tristezza infinita ad ogni persona di pace, ma soprattutto a chi ha ragioni in più per amare questo straordinario paese del Medio Oriente.

Ogni cristiano che si interessi alle origini della propria fede, alle terre e alle popolazioni che hanno costituito i primi nuclei della Chiesa, non può che nutrire un amore speciale per la Siria. Se infatti la Palestina è la terra che ha dato inizio all’avventura cristiana, la Siria è la terra dove è nata la Chiesa dei Gentili, dove la fede cristiana è stata per prima accolta da popolazioni di origine non ebraiche. Se la Palestina è legata alla figura – vita, azione, morte e resurrezione – di Gesù di Nazaret, è in Siria che si è consumato il dramma esistenziale dell’altra grande personalità delle origini cristiane, Paolo di Tarso, il quale proprio a  Damasco visse l’evento straordinario della propria ‘conversione’. Da acerrimo nemico dei cristiani, giunto in questa città per perseguire ‘i discepoli della Via’ a nome delle autorità religiose di Gerusalemme, grazie ad una esperienza mistica attraverso la quale si sente direttamente e personalmente interpellato dal Risorto, a Damasco si farà battezzare e inizierà a predicare con forza la sua nuova fede cristiana, fino a diventare lui stesso bersaglio della persecuzione. Ad Antiochia di Siria, città che oggi appartiene alla Turchia, per la prima volta, i discepoli di Gesù vennero chiamati ‘cristiani’. La Siria dunque come una seconda terra sacra per il cristianesimo.

È stato per questo con grande gioia che, nell’anno del giubileo, il fatidico 2000, abbiamo accettato l’invito ad interessarci di un piccolo villaggio cristiano della Siria, nella regione di Aleppo, il villaggio di Knayee nell’interland di Latakya, l’antica Laodicea, il più importante porto marittimo della Siria di oggi. L’associazione missionaria ALOE, nata alla fine del 1998, era ancora ai suoi inizi, ma già in attivo con l’appoggio a due progetti missionari, in Camerun e in Colombia. Volendo dare anche noi un nostro piccolo contributo alla chiesa nell’anno del Giubileo, avevamo infatti deciso di aprirci ad una missione in Asia, dopo quelle dell’Africa e l’America Latina. Il nostro pensiero andava piuttosto all’Estremo Oriente, quando invece ci pervenne la proposta del ‘Piccolo caseificio’ di Knayee. Ad Aleppo, seconda città della Siria, risiedeva un vescovo di Rito Latino, Mons. Armando Bortolaso alle prese con il grave problema dello stillicidio mortale dell’emigrazione delle comunità cristiane in difficoltà; una emigrazione che rischia di significare la fine della presenza cristiana nella terra che ha visto la nascita della Chiesa dei gentili. La popolazione cristiana  dei villaggi che facevano parte della sua diocesi latina di Aleppo, abituata a vivere tradizionalmente della sola coltivazione dell’olivo, ultimamente stava tentando la carta del piccolo allevamento bovino e ovino; uno dei prodotti più comuni era quindi diventato il latte, prodotto che però doveva essere venduto a poco prezzo sul mercato, frustrando le loro speranze di avanzamento economico. Mons. Bortolaso, insieme ai suoi collaboratori, avevano pensato ad un piccolo ma importante progetto che potesse generare maggiori ricavi per la popolazione locale e offrire una ragione in più per rimanere nella terra dei padri invece che sognare l’emigrazione nel mondo occidentale. Era così nato il piccolo caseificio di Knayee con la produzione di formaggi di diverso tipo. Il laboratorio prevedeva anche un settore per la produzione di yogurt.  Ne aveva le attrezzature, ma questa produzione non era stata ancora avviata per la mancanza di qualche esperto che avesse potuto offrire il know how e l’avvio dei processi necessari.  La richiesta che ci era pervenuta era infatti quella di cercare ed inviare un esperto in questo settore. Tra i nostri associati della prima ora, c’era anche una giovane dottoressa in chimica che aveva lavorato nel settore caseario,  Luigina Partenope di Montottone, che accettò subito con entusiasmo la proposta. Tra l’estate e l’inverno del 2000, questa nostra volontaria è stata ospite nel villaggio di Knayee ed ha lavorato nel progetto con l’obiettivo di insegnare al personale siriano, le tecniche e i processi di  lavorazione caseari che erano stati richiesti. E’ stato il nostro piccolo contributo alla lotta contro la diaspora dei cristiani di Siria, nell’anno del Giubileo.

Il beneficio che ne abbiamo tratto è stato enormemente più alto: l’appoggio a questo progetto ci ha infatti offerto l’occasione per una sensibilizzazione di noi stessi e del nostro territorio sulla realtà delle minoranze cristiane in contesto islamico; realtà conosciuta ora non più per sentito dire, ma attraverso volti, nomi, situazioni e storie concrete. Nel momento stesso in cui abbiamo cercato di contribuire con una micro realizzazione, le loro problematiche ci sono entrate nel cuore, uno stile di vita cristiana umile, povero, fraterno, accogliente, lontano mille miglia dalle tentazioni di un cristianesimo alleato con il potere, come in occidente, ma anzi costretto a camminare in punta di piedi, sottomesso, nella terra dei padri. È emerso, per noi, pian piano il grande, difficile ed esaltante problema del dialogo con l’Islam.

Durante la sua permanenza in Siria, la nostra volontaria, grazie ad un amico siriano, era venuta a conoscenza  di una interessante realtà di dialogo cristiano-islamico, il centro di Deir Mar Musa al-Habashi. Vi aveva trascorso qualche giorno e ce ne aveva riportato la notizia, insieme ad un libro: “Speranza nell’Islam” di Padre Paolo Dall’Oglio, il fondatore della comunità monastica.  Capimmo subito che questo primo contatto sarebbe dovuto fiorire. Il dialogo con l’Islam è ormai iscritto anche nel presente e nel futuro della nostra società. Sono già sorti nel nostro territorio luoghi in cui si prega secondo la via coranica. La straordinaria testimonianza di chi vive immerso nell’Islam e che con esso non vuole instaurare rapporti di conflittualità ma di reciproco incoraggiamento sulla via di Dio, è quella lampada che non può essere messa sotto il moggio, ma sul candelabro; deve essere conosciuta e fatta conoscere. Dapprima i nostri contatti sono rimasti a livello epistolare, ma ben presto venuti a conoscenza di una piccola presenza di monaci e monache di Mar Musa a Cori, in provincia di Latina, impegnati con gli studi teologici negli atenei romani, abbiamo colto la prima occasione per invitare qualcuno di loro a Fermo. Ne è nata una bella amicizia con Abuna Jihad  Youssef, che ormai quasi ogni anno anima un incontro nell’ambito del nostro corso di formazione missionaria “Il senso del partire”. Finalmente nell’estate del 2010 due nostri associati, la prof.ssa Ombretta Morganti e l’ing. Walter Angelini, hanno deciso di trascorrere alcuni giorni a Mar Musa e il legame fra la nostra associazione e questo monastero si sono rinsaldati. Abbiamo volentieri accolto l’invito a sostenere anche economicamente  un piccolo ma significativo progetto: ‘Il giardino dell’armonia’, volto alla salvaguardia e alla promozione della biodiversità delle zone desertiche attorno al Monastero. Perché anche in questo deserto è presente la vita, forte e delicata nello stesso tempo, quasi profezia biologica della ricerca mistica. I mistici sanno che il deserto è vita, che nel deserto avviene l’incontro con Dio, e fu per questo che Mar Musa al-Abashi, San Mosè l’Abissino, nel VI secolo, dopo aver abbandonato la corte etiope, di cui era un rampollo, si era ritirato su queste montagne semidesertiche nel cuore della Siria, dando vita ad una avventura spirituale che si era protratta fino alla fine del XIX secolo, quando il monastero fu abbandonato, per essere poi riportato a vita dalla singolare vocazione di Padre Paolo dall’Oglio, gesuita romano, che si sente ‘mandato’ dalla Chiesa all’Islam per riprendere, approfondire e dare seguito alle straordinarie avventure umane e spirituali di fratel Charles De Foucauld e di Luis Massignon, due fra le pochissime persone che sono state in grado di immergersi in profondità , da credenti in Gesù di Nazareth, nell’Islam fino a nutrire con esso la propria fede cristiana. “Innamorato dell’Islam. Credente in Gesù” è infatti il titolo dell’ultimo libro di Paolo Dall’Oglio, il libro nel quale la testimonianza di vita e di dialogo dei monaci e delle monache di Mar Musa si fa discorso teologico, ecclesiale e spirituale; un tentativo di ‘rendere ragione della propria fede’ in quanto ‘Chiesa dell’Islam’.

Aloe appoggia altre due esperienze di missione in contesto islamico: in Bangladesh e in Etiopia. In entrambi i casi si tratta di appoggio a progetti di carattere sociale. Nel sud del Bangladesh, abitato da popolazioni tribali di origine non bengalese, un volontario si dedica alla riattivazione delle scuole rurali per permettere ai bambini di queste tribù di religione islamica, indù e buddista di apprendere la lingua nazionale e i rudimenti della cultura del proprio paese per un futuro meno emarginato del presente. Il dialogo qui è quello della pura testimonianza della carità, della dedizione agli altri, a qualunque religione appartengano, con uno stile di presenza umile e operosa, unica possibilità per un annuncio puramente silenzioso del vangelo in un territorio in cui i cristiani sono del tutto assenti. In Etiopia, a sud della capitale Addis Abeba, nel territorio abitato dalle popolazioni Oromo a maggioranza musulmana, una missione cattolica costituisce il punto di riferimento per una davvero piccola minoranza cristiana che intende porsi come sale nella pasta, fermento di vita e piccolo faro di animazione anche per le popolazioni islamizzate. In particolare Aloe sostiene progetti destinati alla implementazione della imprenditorialità e del lavoro per giovani e donne per la maggior parte di religione islamica. In entrambi i casi il nostro impegno accanto al missionario, è sul versante della carità.

L’esperienza siriana di Deir Mar Musa, è invece centrata sulla pura fede e per questo appare davvero unica. L’associazione Aloe è grata a Dio per questo incontro, avvenuto quasi per caso e divenuto poi negli anni legame forte, da cui attingere in profondità amore per la missione della chiesa, fede per la sua straordinaria ricchezza spirituale e speranza per la testimonianza di dialogo con l’Islam e con le altre tradizioni spirituali dell’umanità. Esperienze come questa di Mar Musa sono il segno di un’alba nuova che ci aspetta, nell’attesa della quale vogliamo già trovarci sul sentiero giusto. Un’alba nuova che anche i giovani musulmani del Magreb e del Mashrek stanno cercando, anche se la loro ‘primavera’ sembra farsi attendere. Ma all’inverno segue sempre la primavera.

 

 

Commenti

commenti

Questa voce è stata pubblicata in Missione, Religioni e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.