Zambia: Ottobre 1989

La mia prima impressione in Africa

Prima lettera dall’Africa agli amici del Centro Missionario di Fermo, Ndola 14 ottobre 1989

Ad appena un mese dal nostro arrivo in Zambia è difficile riuscire ad ordinare le nostre prime impressioni africane: sono tante le cose che ci colpiscono poiché tutto è nuovo, ma sono anche tante le idee che si aveva in testa prima di venire qui, cosicché preconcetti ed esperienze sono continuamente in corto circuito e si ha bisogno di tempo per riflettere, per capire. Ciononostante voglio provarci, anche perché ho promesso a tanti di scrivere, in modo che la nostra esperienza qui sia in qualche modo condivisa un pochino anche da voi. Lo spirito che ci ha guidati qui è anche quello di diventare, nella nostra esperienza, ponte fra gente che non si conosce, che vive situazioni estremamente differenti nel Nord e nel Sud del mondo, eppure fortemente correlate.

La mia prima impressione in Africa l’ho avuta sulla strada Lusaka-Ndola: circa 350 km di strada.  All’arrivo a Lusaka c’erano ad attenderci tutti gli altri volontari CVM: Flavio e Laura, Stefano ed Annamaria, venuti a prelevarci in macchina. E’ stato bello partire attorniati da amici con cui si sono condivise molte cose negli ultimi anni e arrivare accolti da amici con cui faremo un nuovo pezzo di strada. Durante le quattro ore di viaggio in macchina si snodava il paesaggio sempre uguale: alti alberi sparsi qua e là in terreni coperti da alte erbe secche, da fusti di mais appena raccolto, o anneriti dal fuoco che in questa stagione appiccano per ripulire il terreno e prepararlo per la stagione delle piogge. Nell’insieme un’impressione di aridità. Ogni tanto lungo la strada qualche fila di sacchi di carbone per richiamare l’attenzione di qualche possibile acquirente, o un mucchietto di sassi con una bottiglia sopra che, ci dicono, sia una indicazione per dire che dietro ci sono delle capanne dove si vende qualcosa. Ma per scoprire le casette bisognava aguzzare  la vista, tanto si confondevano con l’erba alta dello stesso colore. Ogni tanto si incontra qualche camion stile anni ’50, tutto arrugginito, a volte una vera e propria carcassa che si lascia dietro una immancabile densa nuvola di fumo nero irrespirabile. Lungo la strada tanta gente a piedi come non eravamo più abituati  a vedere. Nessuna, o pochissime, biciclette, stranamente, segno di uno ‘sviluppo’ che ha dovuto saltare a piè pari sul carro equivoco della modernizzazione. In una città come Ndola tutta pianeggiante e con le strade principali asfaltate le biciclette andrebbero benissimo. Tutti salutano cordialmente. Immaginate in un posto di blocco, il poliziotto con il mitra spianato che invece di chiederti i documenti, se ne esce con uno: “How are you?” “come stai?”, come fra vecchi amici. Questo capita spesso e non solo perché siamo bianchi.

Un’altra cosa che colpisce è il loro amore per il canto: non è raro incontrare camion stracolmi di gente (il camion è anche il mezzo di trasporto più comune per persone) che canta in gruppo. Ma è soprattutto alla Messa che cantano. Partecipare alla messa in lingua Bemba è stata per noi una vera esperienza: le chiese sono rigorosamente stracolme di gente seduta, anzi pigiata in bell’ordine sui banchi, che va avanti per delle ore a cantare in coro, al rullo dei tamburi, con il direttore d’orchestra che segna il tempo e il gruppo delle danzatrici che danzano durante certi momenti della messa. L’impressione che se ne ricava è quella di una forte partecipazione emotiva della gente: esattamente come da noi! Il senso religioso, del resto, ci sembra molto sentito. Ovunque si va in genere, quando si dice che veniamo dal Franciscan Centre, ti dicono dove vanno a messa, a quale chiesa appartengono, di quale gruppo religioso fanno parte. Una domenica eravamo andati a messa in un compound vicino (i compound sono quartieri di 30/40 mila abitanti) e dopo un’ora di canti e di linguaggio bemba, Marco si era stufato e Giusi è andata fuori con lui. Quando esco alla fine della messa vado a cercarli. Li trovo seduti sotto un’insaka (tettoia tipica per ripararsi dal sole e stare seduti in gruppo) con almeno una cinquantina di ragazzi e bambini seduti intorno a guardarli in silenzio; peccato che non avevo la macchina fotografica. Marco sta diventando famoso con il nome ‘Malico’, poiché non hanno la “r” e non sanno pronunciare la “l” senza una vocale.

Il Franciscan Centre è una realtà abbastanza complessa, con un seminario superiore, la parrocchia, una tipografia che dà lavoro a 50 persone, una specie di dispensario farmaceutico, i nostri laboratori di falegnameria e sartoria, e altro. C’è quindi molta gente che gira ed è questa per adesso la nostra Africa, con alte mura di cinta coperte da spezzoni di vetro e filo spinato a proteggerci dai ladri; che comunque sono riusciti ad entrare nel laboratorio di sartoria e rubare otto macchine. La situazione economica si fa sempre più difficile e la gente fa sempre più fatica a racimolare il necessario per il mangiare quotidiano. Cosicché il piccolo furto è nell’ordine delle cose. Fa venire tanta tristezza pensare a questa gente così cordiale e contenta di vivere, a questa distesa di terra sterminata e ricca di possibilità, alla bellezza della natura – quando siamo arrivati la città era rivestita del viola delle Jacarande, ora si sta vestendo del rosso delle Flamboyant e del giallo di altri tipi di piante – e contemporaneamente alla situazione di continuo impoverimento subìto dalla gente. Ma fa venire anche tanta rabbia, quando si pensa che il continuo svalutarsi della moneta locale (Kwacha) dipende dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, le cui regole pur rifiutate ufficialmente dal presidente K. Kaunda, sono quelle che dettano legge. AIDS e BM/FMI sono qui le bestie nere; anzi diciamolo pure: le “bestie bianche”. Nella comunità dei volontari del CVM e altro, l’argomento d’obbligo sono i drastici tagli del MAAEE alle ONG che andranno ad incidere non solo sui compensi dei volontari, ma soprattutto sui progetti. E questo non perché i soldi non ci sono, ma perché vengono dirottati su altre strade, che non arriveranno mai alla gente.

Pian piano noi ci stiamo inserendo oltre che nella missione, soprattutto nella scuola, il cui nome TWIKATANE in Bemba significa “tutti insieme”. Non abbiamo avuto nessun problema, Marco ha imparato ad andare da solo e sta affinando le corde vocali: per ora parla uno strano linguaggio “africano”.

Spero di riuscire a mantenere il proposito di farvi partecipi di tanto in tanto della nostra esperienza qui con questa gente molto semplice, in modo che questi tre anni non significhino per noi essere tagliati fuori da quello che voi state vivendo. Un abbraccio.



 

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