Città cosmopolita

Immerso e sommerso nella grande città cosmopolita[1]

Riprendevo di nuovo il cammino con qualche certezza in più, con qualcosa come un piano a lungo termine. In Francia avevo conosciuto famiglie che vivevano in comunità secondo una regola comune: ciò aveva molto senso anche per me, era qualcosa che poteva mettere insieme le diverse istanze della mia vita, qualcosa capace di fare unità nella mia storia. Inoltre l’ambiente internazionale dell’Arca (ho conosciuto una coppia di australiani che avevano a Sidney una comunità sullo stile di Spello; un israeliano che in Israele dirigeva un centro di dialogo e di non violenza; ed altri che non ricordo esattamente) mi aveva fatto riflettere su un altro incontro di Spello, l’incontro con Emilio Turani e la sfida che mi aveva lanciato.  Emilio era un missionario con cui per tre mesi avevo condiviso ogni giorno il lavoro della ripulitura di vecchi mattoni di una casa colonica in ristrutturazione e che mi aveva insegnato a gustare il “mate”. Emilio, dopo i tre mesi trascorsi come sabbatico a Spello, sarebbe tornato nella sua missione in Argentina e mi aveva confessato il suo desiderio di portare in Argentina questo spirito di Spello. “Perché non vieni in Argentina con me e mi aiuti a creare una realtà come questa?” Sul momento la proposta era stata registrata, ma ancora non era il tempo di poterla elaborare, altre erano le mie preoccupazioni e le mie esigenze del presente.  Non potevo supporre che in realtà lui mi aveva messo dentro una idea che avrebbe dato forma ai miei anni successivi; in Francia lo avevo capito già meglio, ma non era ancora ora. Con il senno del poi, il suggerimento di Emilio è stata per me una chiamata di Dio, l’indicazione di una vocazione per la vita[2].

Nel novembre del 1984 mi recai a Londra dal mio amico Anthony, il ‘sabbatico’ con cui avevo condiviso maggiormente il mio tormento interiore, la mia ricerca di una strada non conosciuta, di una fede al di fuori delle grucce istituzionali. Ci univa una situazione simile, lo sentivo come il mio fratello maggiore. In quel periodo Anthony lavorava in un centro di accoglienza per senza tetto ed alcolisti nella East London. Restai con lui un mese, nel suo minuscolo appartamento, in via Commercial Road, dormendo con il mio inseparabile sacco a pelo steso su una stuoia nel pavimento della cucina. Anthony mi aiutò a muovermi nella grande città che mi affascinava e mi spaventava contemporaneamente. E dopo qualche tempo mi resi indipendente finendo per immergermi completamente nella grande Londra. Dimenticai ogni sorta di ricerca spirituale.  Mi immersi nel lavoro per guadagnarmi da vivere, nello studio della lingua inglese, nella frequentazione delle biblioteche, nella cura delle relazioni. Mi fidanzai con una ragazza polacca, Ania. Coltivavo poche, ma sentite amicizie. Imparai a cambiare lavoro, mi vedevo già “in carriera” nel mondo del catering. Spello era ormai  lontana, sia geograficamente che spiritualmente, e Londra sempre più affascinante e piena di potenzialità e io vi avevo trovato il mio spazio, vi nuotavo libero come un pesce nell’acqua. Conobbi tanti italiani che erano andati a Londra per un periodo determinato e avevano finito per rimanerci a vita. Avrei potuto fare la stessa cosa anche io. Ma non ne ero così tanto sicuro, conservavo, anche se più nascosta, sempre la stessa angoscia del domani. Sognavo di andare prima o poi a trascorrere un lungo periodo in Palestina, nel Kibbutz di Shefayim, dove viveva Amos Guirtz, il pacifista ebreo israeliano che avevo conosciuto all’Arca, oppure a Ibillin, in un centro di dialogo cristiano-islamico, gestito dal prete cattolico palestinese padre Elias Chacour[3], che avevo conosciuto a Grenoble.  Ania, la ragazza polacca, non aveva proprio nessuna voglia di finire in un kibbutz israeliano o in un centro palestinese, e temendo che prima o poi ce l’avrei costretta, mi lasciò con una scusa qualsiasi, lasciandomi tramortito.

Quella storia sentimentale era stata infatti una cosa piuttosto seria, mi aveva regalato un equilibrio interiore insieme a tutto il resto (il lavoro, la città, lo studio della lingua, le biblioteche) e mi aveva fatto trascorrere un tempo sereno, di stabilità. Ora venivo di nuovo ributtato nel mondo dell’incertezza, dell’insicurezza del domani, del buio esistenziale. Avevo bisogno di prendermi un periodo di distrazione e siccome ero partito dall’Italia da oltre un anno, decisi di concedermi una vacanza di tre settimane in Italia.  Avrei trascorso la prima settimana a Spello, la seconda in famiglia e la terza in giro a ritrovare persone conosciute durante l’anno sabbatico, con cui avevo mantenuto un rapporto epistolare, in modo particolare una ragazza di Padova, Giusy; poi sarei rientrato a casa, nella mia Londra.

A Spello ritrovo il clima di sempre, respiro di nuovo la stessa atmosfera spirituale, prostrato nella cappellina con le sue belle icone dorate, in adorazione, presento al Signore il pane azzimo della mia storia incompiuta e dei miei piedi stanchi; mi incontro con Carlo, gli racconto la mia vita dell’ultimo anno, gli parlo di Anthony, mi incoraggia a restare fedele al Vangelo in qualunque percorso di vita. Lo trovo più provato, più sofferente; mi parla del terribile inverno trascorso, degli ulivi che si sono seccati per il gelo, delle difficoltà della fede.

Dei sabbatici dell’anno prima non c’era più nessuno, eccetto Elisabetta che si era fidanzata con Pierangelo e che perciò viveva ancora nell’ambito della fraternità. L’anno del mio vagabondaggio tra Francia ed Inghilterra, era stato, per i miei amici sabbatici, insieme a tante altre cose, la stagione degli amori. Francesca si era innamorata di Giuseppe Bellizzi ed insieme stavano cominciando una storia davvero singolare ed interessante[4]; Jure aveva finalmente incontrato Luciana e insieme vivevano al Casale di Roma; Renzo era tornato a Fabriano e frequentando una comunità di ascolto legata a Spello aveva conosciuto Susy; Giovanni, il più misterioso di noi, omosessuale dichiarato, aveva ripreso il suo vagabondaggio umano e spirituale, l’ultima volta mi aveva scritto da un monastero francese, che poi aveva a sua volta abbandonato. Per ognuno si era aperta una fase nuova, esattamente come era stato per me, e bisognava seguire lo Spirito che continuava a parlarci e a guidare tutti nella sua fantasia, “lungo la concretezza delle cose”.

Trascorsi la seconda settimana della mia vacanza italiana in famiglia. Fui molto contento di rivedere i miei; mio padre e mia madre lo furono ancora di più. Ma in capo ad una settimana fremevo già per partire di nuovo: avevo fatto il mio dovere, mi feci portare in stazione e ripresi la strada. Era la mia terza settimana di vacanza, quella dedicata agli incontri. Fosse stato possibile, sarei andato a trovare tutte le persone incontrate nell’anno precedente a Spello. Dovetti limitarmi alle poche amicizie di chi mi rimaneva lungo il percorso del treno; feci tappa a Fano, a Pesaro, a Bologna e a Padova. Mi intrigava soprattutto l’incontro di Padova con Giusy, conosciuta negli ultimi giorni di Spello, in un momento in cui stavo già pianificando il mio viaggio in Francia. Avevo preso il suo indirizzo, ma con tutte le vicissitudini successive, sarebbe rimasto del tutto inattivo, se non fosse stato per lei. Le sue lettere e le sue cartoline mi aveva raggiunto ovunque in quell’anno e ad esse io avevo sempre risposto. Mi sembravano particolarmente calorose ed interessate a me, ma io ero troppo distratto da altre cose, interessi e persone. Mi fermai un paio di giorni a casa sua, scoprii che si era innamorata di me dai giorni di Spello, era stato per lei il classico ‘colpo di fulmine’, ed era per questo che mi aveva seguito in maniera discreta, con le sue lettere e cartoline, nel mio pellegrinaggio. Trovai che la simpatia per lei provata sin dall’inizio poteva tramutarsi in qualcosa di più. Mi sentii colpito come da una frusta dal fatto che durante tutto il mio singolare percorso in Francia e in Inghilterra, che credevo di aver vissuto nella più totale solitudine, ero stato accompagnato dal suo amore silenzioso. Non potei fare altro che arrendermi a quell’amore che mi riempì subito il cuore.

Spello dunque non aveva finito di stupirmi, mi aveva riservato un’ultima sorpresa. Ricordo un giorno che parlavo con Elisabetta delle mie prospettive future ed ero particolarmente scoraggiato, e lei mi aveva detto con un grande sorriso: “vedrai che il Signore ti farà alla fine un bello scherzetto!” Era stato di parola il Signore: Spello, che sembrava essersi concluso per me con una grande incertezza, mi offriva ora la prospettiva della vita. La cosa più curiosa di tutte era che il giorno in cui Giusy era venuta in fraternità, al momento della presentazione di rito attorno alla mensa, lei ci disse che aveva sempre pensato di dedicarsi al volontariato: il suo parroco avrebbe voluto mandarla da un suo amico missionario in Brasile per una esperienza di missione. Fu così che, senza rendercene conto, fin dal primo giorno che ci siamo casualmente conosciuti, avevamo cominciato a parlare di quella che poi sarebbe stata la prospettiva della nostra vita futura insieme.

Come era già mia intenzione, alla fine di aprile ripartii per Londra; ma il mio cuore era rimasto con Giusy e, dopo qualche mese, visto che lei non si decideva a seguirmi nella grande metropoli inglese, ripresi ancora una volta il mio fedele zaino, deciso a trovare un luogo qualsiasi in Italia, dove mettere finalmente ‘radici’ e poter coltivare il nostro amore. L’anno successivo, esattamente in aprile, eravamo già sposati.



[1] Gli incontri di Spello III. Immerso e sommerso nella grande città cosmopolita, “Il salotto degli autori”, Autunno 2009 (Anno VII, N.28) pp. 45-56

[2] È stato infatti grazie al ‘sogno’ intravvisto nei miei dialoghi con Emilio, se successivamente, dopo essermi sposato, mi sono accostato alla realtà della solidarietà internazionale, con gli anni di volontariato internazionale in Zambia prima, e la fondazione dell’associazione ALOE Onlus poi che ha finito per diventare una parte davvero consistente della mia vita.

[3] Padre Elias Chacour è stato ordinato vescovo greco-cattolico nel febbraio del 2006, nella sua parrocchia di Ibillin. In Italiano sono stati pubblicato alcuni suoi libri come Apparteniamo tutti a questa terra : la storia di un israeliano palestinese che vive per la pace e la riconciliazione (Jaca Book), oppure Fratelli di sangue : una testimonianza di pace in Medio Oriente (Dehoniane).

[4] Ho raccontato la loro storia in un articolo pubblicato da Il salotto degli autori, Primavera 2008: “Prete cattolico felicemente sposato? Si può, ecco la storia …”

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