La cena pasquale di Gesù senza agnello … secondo Ratzinger

Joseph Ratzinger concorda con quanti ritengono, con ottime ragioni esegetiche, che Gesù non abbia celebrato la cena pasquale con l’agnello, esattamente come facevano gli Esseni e la comunità di Qumran. Il cenacolo, dove lo si venera oggi, è situato esattamente nella zona di Gerusalemme che al tempo di Gesù era abitata dagli Esseni.

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Inoltre tutti coloro che non si potevano recare a Gerusalemme per la Pasqua ovviamente celebravano una cena pasquale senza agnello e pertanto vegetariana, dove i cibi simbolici erano, come lo sono oggi per la celebrazione ebraica della cena, il pane azzimo, le erbe amare e l’haroset (dolce); ed ovviamente il vino!. Giovanni Battista era probabilmente un esseno ed è lui che definisce Gesù, “agnello di Dio” (frase che ripetiamo in ogni messa), ovviamente in polemica e contrapposizione agli agnelli che venivano sacrificati a Pasqua nel tempio.

Tutti gli evangelisti riportano l’episodio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio appena qualche giorno prima della Pasqua: storicamente quei mercanti erano lì per vendere gli agnelli e gli animali da sacrificare. Il gesto di Gesù era dunque un chiaro gesto contro il sistema dei sacrifici. Come è possibile pensare che Gesù abbia qualche giorno prima creato un grande sconquasso al tempio (è in seguito a questo episodio che i capi decidono definitivamente di arrestarlo) e qualche giorno dopo si sia presentato (o abbia fatto presentare i suoi discepoli, che è la stessa cosa) agli stessi sacerdoti per farsi sacrificare l’agnello per la Pasqua … quegli stessi sacerdoti che lo condanneranno a morte il giorno dopo.

Dunque vegetaliani (vegani) e vegetariani che ritengono Gesù abbia celebrato una cena pasquale vegetariana non possono che essere nel giusto. E la tradizione di considerare l’agnello un cibo per festeggiare la Pasqua è semplicemente stupida e blasfema, se si pretende di farla passare appunto come tradizione cristiana!
Del resto gli ebrei (che si attengono al Vecchio Testamento) non celebrano più la Pasqua con l’agnello a partire dal 70 d. C. anno della distruzione del tempio. Se gli stessi ebrei non celebrano la loro Pasqua con l’agnello, dovrebbero farlo i cristiani che si attengono al Nuovo Testamento e che rileggono il Vecchio solo come propedeutico al Nuovo?

Ma ascoltiamo cosa disse papa Joseph Ratzinger nell’omelia per la Messa del Giovedì Santo il 5 aprile 2007, due anni dopo essere diventato papa …  Ovviamente non intendo arruolare Ratzinger per la causa vegetariana, né affermare che Gesù era un esseno. Voglio solo sottolineare che ai tempi di Gesù non c’era una uniformità nel celebrare la Pasqua e che ci sono delle ottime ragioni a supporto della tesi che Gesù possa aver celebrato la cena pasquale in una maniera nonviolenta, senza comprendere l’uccisione di un animale. Per ragioni diverse, gruppi diversi, già ai tempi di Gesù celebravano una cena pasquale basata su cibi solo vegetali, come afferma appunto Ratzinger in questo testo.

SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica di San Giovanni in Laterano,

Giovedì Santo, 5 aprile 2007


Cari fratelli e sorelle,
nella lettura dal Libro dell’Esodo, che abbiamo appena ascoltato, viene descritta la celebrazione della Pasqua di Israele così come nella Legge mosaica aveva trovato la sua forma vincolante. All’origine può esserci stata una festa di primavera dei nomadi. Per Israele, tuttavia, ciò si era trasformato in una festa di commemorazione, di ringraziamento e, allo stesso tempo, di speranza. Al centro della cena pasquale, ordinata secondo determinate regole liturgiche, stava l’agnello come simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Per questo l’haggadah pasquale era parte integrante del pasto a base di agnello: il ricordo narrativo del fatto che era stato Dio stesso a liberare Israele “a mano alzata”. Egli, il Dio misterioso e nascosto, si era rivelato più forte del faraone con tutto il potere che aveva a sua disposizione. Israele non doveva dimenticare che Dio aveva personalmente preso in mano la storia del suo popolo e che questa storia era continuamente basata sulla comunione con Dio. Israele non doveva dimenticarsi di Dio.

La parola della commemorazione era circondata da parole di lode e di ringraziamento tratte dai Salmi. Il ringraziare e benedire Dio raggiungeva il suo culmine nella berakha, che in greco è detta eulogia o eucaristia: il benedire Dio diventa benedizione per coloro che benedicono. L’offerta donata a Dio ritorna benedetta all’uomo. Tutto ciò ergeva un ponte dal passato al presente e verso il futuro: ancora non era compiuta la liberazione di Israele. Ancora la nazione soffriva come piccolo popolo nel campo delle tensioni tra le grandi potenze. Il ricordarsi con gratitudine dell’agire di Dio nel passato diventava così al contempo supplica e speranza: Porta a compimento ciò che hai cominciato! Donaci la libertà definitiva!

Questa cena dai molteplici significati Gesù celebrò con i suoi la sera prima della sua Passione. In base a questo contesto dobbiamo comprendere la nuova Pasqua, che Egli ci ha donato nella Santa Eucaristia. Nei racconti degli evangelisti esiste un’apparente contraddizione tra il Vangelo di Giovanni, da una parte, e ciò che, dall’altra, ci comunicano Matteo, Marco e Luca. Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali. La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa, però, che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale – questo, almeno, è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità del dono del suo corpo e del suo sangue. Questa contraddizione fino a qualche anno fa sembrava insolubile. La maggioranza degli esegeti era dell’avviso che Giovanni non aveva voluto comunicarci la vera data storica della morte di Gesù, ma aveva scelto una data simbolica per rendere così evidente la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello che ha sparso il suo sangue per tutti noi.

La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso.

San Giovanni Crisostomo, nelle sue catechesi eucaristiche ha scritto una volta: Che cosa stai dicendo, Mosè? Il sangue di un agnello purifica gli uomini? Li salva dalla morte? Come può il sangue di un animale purificare gli uomini, salvare gli uomini, avere potere contro la morte? Di fatto – continua il Crisostomo – l’agnello poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un animale non era capace. Gesù celebrò la Pasqua senza agnello e senza tempio e, tuttavia, non senza agnello e senza tempio. Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico di Gesù: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Ed è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio.

Così al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono. “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso”. Ora Egli la offre a noi. L’haggadah pasquale, la commemorazione dell’agire salvifico di Dio, è diventata memoria della croce e risurrezione di Cristo – una memoria che non ricorda semplicemente il passato, ma ci attira entro la presenza dell’amore di Cristo. E così la berakha, la preghiera di benedizione e ringraziamento di Israele, è diventata la nostra celebrazione eucaristica, in cui il Signore benedice i nostri doni – pane e vino – per donare in essi se stesso. Preghiamo il Signore di aiutarci a comprendere sempre più profondamente questo mistero meraviglioso, ad amarlo sempre di più e in esso amare sempre di più Lui stesso. Preghiamolo di attirarci con la santa comunione sempre di più in se stesso. Preghiamolo di aiutarci a non trattenere la nostra vita per noi stessi, ma a donarla a Lui e così ad operare insieme con Lui, affinché gli uomini trovino la vita – la vita vera che può venire solo da Colui che è Egli stesso la Via, la Verità e la Vita. Amen.

Un POST SCRIPTUM: Un cristiano può sottoscrivere in toto la scelta di Gandhi per l’alimentazione rigorosamente vegetaliana e la stessa frase: “la vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano” !

Il Mahatma Gandhi era vegetariano. Anzi, a dire il vero, era un vegano, dalla sua dieta escludeva anche latte e derivati animali. Gandhi era vegetariano per scelta etica e religiosa e considerava la vita di un agnello non meno preziosa di quella di un essere umano. Si dedicò al vegetarianismo non solo prodigandosi, nella sua dieta, ad escludere le carni, ma anche con scritti e libri in cui spiega, afferma e sostiene la sua scelta.

Ne ‘La Base Morale del Vegetarismo’, per esempio, Mahatma Gandhi sostiene che “La grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere giudicati dal modo in cui vengono trattati gli animali”. La violenza sugli animali, il loro sfruttamento e la macellazione di essi erano simbolo, per Gandhi, di assenza di sensibilità e rispetto, di morale e di pace. Secondo Gandhi sia gli uomini, sia gli animali, infatti, sono creature di Dio e in quanto tali vanno rispettate allo stesso modo.

Ed è per questo che Gandhi era un vegetariano rigoroso, un vegano, che sperimentò, nel corso della sua vita, svariate diete alla ricerca di un’alimentazione sufficiente a soddisfare i fabbisogni corporei. In seguito a delle malattie fu più volte sollecitato a bere il latte, e Gandhi parla di questo come se fosse la tragedia della sua vita.

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