Come i Teologi della Liberazione vedono Francesco

El Pais 2

Questo articolo è apparso sul periodico  El Pais International l’11 Aprile 2013. L’autore, Juan Arias è un noto scrittore e giornalista latinoamericano, vicino alla teologia della liberazione. 

La teologia di Francesco è quella di Amos,
più che quella di Marx

Il papa agisce per gesti e simboli, esempi  personali e denunce del potere,
più che per difesa di ideologie sorpassate

JUAN ARIAS 11 ABR 2013

A quasi un mese di pontificato, i teologi della liberazione sono ancora un po’ sconcertati con Papa Francesco. Possono o no considerarlo uno di loro? Di fatto le domande più inquietanti sul nuovo papa, il primo dell’America Latina, culla della Teologia della Liberazione, si riferiscono alla sua teologia.

Non è facile inquadrare l’ideologia religiosa di Francesco. I teologi della liberazione, compreso Leonardo Boff, massimo esponente di suddetta teologia in America Latina, lo hanno accolto con un plauso. Per ora. Altri mantengono ancora i loro dubbi.

Di sicuro ogni papa ha espresso un tipo differente di teologia. Ci sono stati papi tridentini, tomisti, agostiniani, aristotelici, arroccati più nella teologia elaborata dopo aver messo la Chiesa nelle mani dell’Impero Romano e aver ereditato da esso pompa e potere, che nella teologia pura e semplice del Vangelo; che è stata invece quella di Francesco d’Assisi.

Le teologie di laboratorio, rasenti appena il sociale, si perdono nelle famose discussioni bizantine e medievali, come quella che voleva sapere se gli angeli avessero oppure no un sesso.

La teologia di Gesù di Nazareth era duplice.

Con i poveri usava la teologia della felicità: non sopportava il loro dolore nè chiedeva loro di offrirlo a Dio per meritarsi il Cielo. “Curava tutti”, dicono i testi sacri. E i morti li risuscitava. Moltiplicava il vino nei matrimoni perchè continuasse l’allegria e non imponeva digiuni e penitenze ai suoi discepoli come faceva Giovanni Battista.

Con i potenti, la sua teologia era diversa. Usava con loro la teologia della “denuncia e dell’esempio”. Gridava al re: “Non ti è lecito”. E diceva ai suoi: “Quelli che si vestono di seta stanno nei palazzi reali”. Lui vestiva come i poveri.

La forma che Gesù usava contro quello che il marxismo chiama strutture ingiuste, non era ideologica, nè di incitazione alla lotta di classe. Era di testimonianza. Curare un lebbroso, le cui piaghe erano viste come castigo divino, era il più grande schiaffo al potere sia civile che religioso. Come lo era lavare i piedi agli apostoli. O difendere l’adultera contro i farisei che chiedevano la sua lapidazione in nome della legge giudaica. E Gesù possedeva, oltre al suo forte senso di giustizia verso gli emarginati dal potere, una non meno forte fede che Dio sarebbe stato sempre dalla parte degli ultimi e non nei saloni del potere. Dio sarebbe sempre stato la garanzia degli oppressi dalle ingiustizie sociali.

La teologia di papa Francesco sembra nutrirsi meno dell’essenza della Teologia della Liberazione, ispiratasi, inizialmente, all’ideologia sociale del marxismo che vede nelle strutture del potere la causa del male del mondo. La teologia di Francesco si nutre più della teologia del profeta Amos, quel pastore che non apparteneva neanche alla casta dei profeti e che è stato colui che con maggior durezza ha attaccato i meccanismi di sfruttamento e oppressione contadina portati avanti dai re oppressori. Amos, d’altro canto, si è scagliato tanto contro le ingiustizie sociali quanto contro l’idolatria del suo popolo. E per lui, alla fine, come per Gesù otto secoli dopo, Dio continua ad essere il vero liberatore degli oppressi. Non era concepibile per Amos, né per il profeta di Nazareth, la moderna teologia dell’ateismo. Dio continuava ad essere il centro della vita: per punire l’oppressore e per proteggere l’oppresso.

Amos fu chiamato il “profeta dei poveri”. Curiosamente come oggi Francesco è chiamato il “papa dei poveri”. In questo frangente, Francesco si innalza con una parte della Teologia della Liberazione, che dà la priorità all’ “opportunità per i poveri”.  Forse si distingue per gli strumenti utilizzati da suddetta teologia del marxismo per lottare contro l’ingiustizia sociale. Non è a caso che, nelle sue conversazione con il rabbino Skorka, Bergoglio ricorda varie volte il profeta Amós e le sue invettive contro i potenti del suo tempo e la difesa a oltranza della giustizia e dei perseguitati e “schiacciati” dal potere. Francesco dice al rabbino che se i sacerdoti e i vescovi di oggi “usassero il linguaggio del profeta Amos” la stessa Chiesa “si scandalizzerebbe”, data la durezza delle sue parole contro gli oppressori dei contadini poveri di allora.

Ai teologi della liberazione piace Francesco perchè chiede alla Chiesa che si “sporchi i piedi di fango” nella ricerca dei derelitti. Forse piace meno quando afferma che le ideologie, tanto del comunismo come del capitalismo, sono ugualmente idolatriche. Il comunismo perché deifica la sua ideologia assolutista; ed il capitalismo perché basa tutto sullo sfruttamento delle risorse, si inginocchia, e fa’ che tutti ci inginocchiamo, davanti al dio del consumo. In entrambi gli estremi, Dio è assente.

In Francesco c’è più Vangelo che ideologia; gli interessano soprattutto le lacrime degli oppressi. E Dio, per lui, come per i profeti biblici, continua ad essere la garanzia di speranza liberatrice dei poveri. Francesco è forse più Amos che Marx, nella sua lotta contro le ingiustizie sociali. Per Francesco, la religione, vista e praticata nella linea del profeta Amos, non è l’oppio dei poveri ma la sua garanzia di redenzione.

È possibile che le carovane di poveri dell’America Latina capiscano meglio la teologia “amosiana” di Francesco, asciugatore di lacrime e missionario delle periferie, che la teologia della Liberazione, che pur avendo fatto la scelta per i poveri, continua ad appartenere a questo continente, più vicina alle classi pensanti che a quelle che lottano per il pane ogni giorno.

L’arcivescovo brasiliano, Helder Cámara, grande difensore degli oppressi, diceva, criticando il potere: “quando do da mangiare ai poveri, mi chiamano santo. Quando chiedo loro perchè hanno fame mi danno del comunista”. Aveva ragione. Il problema è che oggi il comunismo è più preoccupato nel difendere il suo potere e i suoi privilegi che nel chiedersi perchè c’è ancora gente che continua a soffrire la fame. Forse è questo che avverte papa Francesco che sta inaugurando nella Chiesa una nuova teologia, fatta più di gesti e simboli, di esempi personali, di denunce al potere con nomi e cognomi, che di difesa delle ideologie sorpassate.

Traduzione di Alessandra Massucci.

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