Lucidio Ceci

Un testimone della Fratellanza universale da non dimenticare: Lucidio Ceci

Nell’ambito della festa per il ventennale dell’associazione missionaria Aloe, DOMENICA 24 MARZO 2019, tra i missionari invitati ad intervenire c’è stato anche il missionario saveriano padre Pier Luigi Lupi che ha trascorso tanti anni in Bangladesh, alcuni dei quali in stretto contatto con il nostro carissimo Lucidio Ceci. Padre Pier Luigi ha rievocato, a partire dalla sua esperienza e amicizia, la figura del nostro Lucidio, un uomo e un testimone che ha colpito, con la sua testimonianza di sobrietà, di povertà e di fraternità, una popolazione tra le più povere del pianeta. Una testimonianza che non ci possiamo permettere di dimenticare!

Padre Pier luigi Lupi rievoca la figura del suo confratello e amico Lucidio Ceci

Padre Pier luigi Lupi rievoca la figura del suo confratello e amico Lucidio Ceci

Lo scorso anno in settembre ho avuto modo di passare un mese in Bangladesh. Sono stato nelle zone dove ha lavorato Lucidio e dove anche io lavoravo lì di fianco. Anzi ogni tanto mi diceva: “Ma quand’è che ti decidi a venire qua, visto che io sto invecchiando e mi serve uno che continui il mio progetto”. E così mi sono tornate in mente queste parole, quando pensavo a questo collegamento strano che si è creato con Montegiorgio, paese che io non avevo mai sentito nominare neanche da Lucidio o forse me lo aveva detto ma io non mi ricordavo, come oggi non mi ricordavo di chi mi aveva dato la chiave, l’altra volta che sono stato qui. Questo legame che si è creato grazie a voi, speriamo che sia un legame tra coloro che vogliono portare dei cambiamenti significativi e profondamente umani.

Parlare di Lucidio è una avventura, perché lui era una avventura. Era una avventura nel senso che tutti i giorni ne aveva una nuova e questa sua forte creatività e volontà di realizzarla e di vedere, provare, riprovare per vedere quella che era migliore, la più esatta, la più adatta era una delle sue grandi doti che gli ha permesso di passare un numero di anni in Bangladesh nel settore dell’educazione, una educazione rivolta soprattutto agli esclusi, a coloro che a scuola non potevano andare, agli indigeni che avevano difficoltà a frequentare le scuole governative perché in quelle zone non c’erano. Anche se adesso il governo ha migliorato la situazione educativa di quella zona, in quei momenti lì c’era veramente il vuoto e lui si è  buttato in questa situazione di mancanza di strutture educative, mancanza di accoglienza di questa popolazione, soprattutto dei bambini a cui veniva negata ogni possibilità.

La situazione di questa regione resta difficile, ora si è oltretutto aggravata per la presenza di oltre un milione di popolazioni provenienti dal vicino Myanmar, i Rohingya musulmani, che sono tutt’ora presenti in Bangladesh. In questa regione lui ha potuto operare in quanto aveva ottenuto la cittadinanza del Bangladesh; però per gli stranieri non è così. Lo scorso settembre per poter entrare in quanto straniero ho avuto bisogno del permesso del Ministro degli Interni, il quale dandomi il permesso ha precisato: “Puoi andare, ma non puoi fare incontri pubblici, devi riferirti alle autorità, devi essere accompagnato da una scorta di sicurezza, quattro poliziotti a cui devi pagare la jeep e tutte le altre spese per il periodo in cui rimarrai lì”. E’ stato quindi un viaggio in cui ho sperimentato ancora una volta come la presenza degli stranieri sia problematica, cosa che Lucidio aveva superato in modo molto disinvolto perché era riuscito a farsi dare la cittadinanza bengalese e questo gli ha permesso di stare in questa zona cuscinetto con il Myanmar dove prima c’era la guerriglia e ora le popolazioni Rohingya cacciate dal Myanmar; comunque una zona sotto il controllo dei militari, dove però lui poteva operare in modo sereno e con la sua caparbietà ha potuto portare avanti i suoi progetti a favore di queste popolazioni. In un caso era riuscito anche a convincere dei militari a dare delle offerte mensili per contribuire all’andamento di una scuoletta che lui aveva realizzato dove i militari avevano una piccola caserma. Ricordo  che mi raccontava, una volta che lo avevo incontrato e gli avevo chiesto se avesse delle difficoltà con i militari: “No no, sono andato dal capitano e gli ho detto: Voi vi dovete occupare di questa scuola, se succede qualcosa voi ne renderete conto, perché questi ragazzi che vengono su e giù, provengono da villaggi lontani e voi siete responsabili non solo della loro sicurezza, ma anche che diventino bravi studenti e se volete avere dei bravi studenti dovete far sì che abbiano un bravo insegnante e per avere un bravo insegnante bisogna pagarlo, per cui anche voi dovete anche contribuire un po’ a pagare l’insegnante”.

Ebbene era con questa sua volontà di riuscire ad ogni costo che è stato in grado di creare attorno a sé una organizzazione con gli insegnanti di una scuola superiore, ha coinvolto altre associazioni come la vostra e ha potuto aprire delle scuole dove fino ad allora il governo non era presente.

Lucidio Ceci nella sua stanza al terzo piano del Mathamuri College di Lama, abitazione e quartier generale di tutte le sue battaglie per l'umanità e per la fraternità

Lucidio Ceci nella sua stanza al terzo piano del Mathamuri College di Lama, abitazione e quartier generale di tutte le sue battaglie per l’umanità e per la fraternità

Ma quello che ha soprattutto colpito i bengalesi, gli abitanti della zona, era la sua  povertà. Era più povero di san Francesco, almeno san Francesco aveva Chiara che ogni tanto gli faceva trovare qualcosa di buono; invece Lucidio era poverissimo, alloggiava al terzo piano di una brutta costruzione che era un college governativo che gli aveva concesso un’aula, quasi lunga come questo salone. Lui l’aveva divisa in due, da una parte aveva il letto e tutti i suoi materiali didattici: carta, libri, altre cose per far teatro con i bambini; dall’altra parte aveva la sua scrivania con il computer, perché ormai lui faceva tutte le sue cose con il computer, poi aveva un piccolo tavolo e contro la parete della finestra aveva un fornellino al kerosene, con una macchina del caffè che era rotta. Io lo portavo in giro dicendogli che questa macchina produceva caffè turco perché era più la polvere di caffè che restava dentro che non il caffè che usciva. Mangiava minestroni di riso con verdure e lenticchie; cucinava ogni tre o quattro giorni e poi mangiava sempre quella roba lì fino a che non finiva. Io come missionario  mi sentivo a disagio e gli portavo qualche cosa buona che trovavo per strada, come cioccolato fondente, ecc. Comunque era poverissimo e questa povertà ha colpito non solo i ragazzi, ma anche la gente che vedeva. Tra l’altro lui girava in bicicletta in quella zona collinare … fino all’ultimo è sempre andato in bicicletta. Non aveva niente dell’apparenza del professore e dell’insegnante. Era l’uomo di tutti i giorni, l’uomo che poteva venire dal mercato l’uomo che viene dal lavoro, l’uomo che viene da casa propria.  Questa normalità nel comportamento di uno straniero che si era fatto fratello in quella situazioni lì, colpiva veramente tutti.

E poi la sua caparbietà e onestà. Era esigente. I suoi insegnanti avevano continuamente corsi e controlli, dovevano sudare sette camicie, perché lui era molto esigente. Lui sapeva insegnare, soprattutto sapeva comunicare come insegnare ai bambini. E questi corsi che faceva per preparare gli insegnanti che avrebbe immesso nelle scuole, erano veramente molto impegnativi. Infatti molti si ritiravano o era lui che diceva loro: “Guarda che tu non sei fatto per fare il maestro, non sai recitare, un insegnate deve saper recitare, deve saper cantare”. Per lui un insegnante doveva saper raccontare storie in modo tale che i bambini dovevano restare a bocca aperta. Dovevano soprattutto interessarsi tutti i giorni delle famiglie e se  un ragazzo non veniva a scuola, era il maestro che doveva andare nel villaggio e vedere dov’era finito sto ragazzo, perchè i genitori non l’avevano mandato o perchè lui non era venuto. E poi doveva fare l’insegnante a tempo pieno, 24 ore su 24, con uno stipendio piccolissimo.

Eppure questo suo metodo così impegnativo e così difficile da assumere anche da parte di noi missionari, molti lo hanno appreso e si son fatti suoi discepoli. Questo suo metodo  lui lo aveva messo anche per iscritto, curando molti testi scolastici, soprattutto per insegnare la lingua bengalese a chi veniva da una madre lingua diversa come quelle delle popolazioni indigene. Ebbene con questo suo sistema lui era riuscito, in molto anni, a raggiungere e ad educare molti ragazzi. E per lui educare non era solo insegnare il bengalese, la matematica o la geografia; ma era soprattutto aiutarli a diventare uomini.

L’insegnante non era solo quello che sapeva insegnare le varie materie, ma doveva essere la persona che sapeva guidare il ragazzo o la ragazza a diventare adulto. Per questo doveva essere un insegnante a tempo pieno, 24 ore su 24. E questo in collaborazione con le famiglie e con i villaggi. Lui ha operato molto per fare in modo che le famiglie, i rappresentanti dei villaggi, ma anche il livello politico, fossero coinvolti nelle sue scuolette, anche se non erano del governo. I rappresentanti dei genitori (una cosa sconosciuta in Bangladesh), i rappresentanti della politica locale, lui li voleva presenti, e se non venivano era lui che li andava a cercare e con questo modo di fare li obbligava ad essere presenti. Quindi la sua è stata una esperienza molto profonda, che ha lasciato il segno. Infatti quando è morto si sono avute celebrazioni e manifestazioni di solidarietà. La sua gente e i suoi collaboratori si sono molto dispiaciuti perché quando è morto, la polizia, per il fatto che era comunque uno straniero anche se aveva ottenuto la cittadinanza bengalese, lo hanno dovuto portare nell’ospedale  della regione posto nella città capoluogo,  a Bandarban, per fare l’autopsia, perché comunque avrebbero dovuto comunicare all’ambasciata italiana le cause e circostanza della morte, anche se era anziano. Dopo aver fatto l’autopsia, siccome lui aveva lasciato per iscritto che avrebbe voluto essere sepolto in un cimitero cristiano – non in tutti i posti ci sono cimiteri cristiani, neanche in tutte le missioni, ma solo in alcune zone – visto che a Bandarban, nella missione cattolica, c’era un cimitero cristiano,è stato sepolto lì.

La celebrazione organizzata per il 5° anniversario della morte di Lucidio con l'apposizione della piccola lapide in sua memoria nella stanza che era stata il suo quartier generale

La celebrazione organizzata per il 5° anniversario della morte di Lucidio con l’apposizione della piccola lapide in sua memoria nella stanza che era stata il suo quartier generale

Ora proprio qualche giorno fa, il 27 febbraio, 5° anniversario della sua morte, il gruppo degli insegnanti e quelli che hanno collaborato con lui, si sono ritrovati nell’aula che veniva prima abitata da lui, per dedicarla, come aula del collegio, in sua memoria mettendola a suo nome con una piccola lapide e nell’occasione hanno invitato alcune persone e hanno fatto una piccola celebrazione. Dalle foto potete vedere la presenza forte dei musulmani, perché la maggior parte dei suoi insegnanti e dei suoi più stretti collaboratori erano musulmani, ma in fondo potete vedere anche giovani maestri indigeni che sono buddisti. E’ stata messa una lapide con una foto sulla parete di questa aula.  Quindi il College dopo cinque anni della sua morte lo ha voluto ricordare come esempio non solo per i professori e per gli insegnati, ma anche come esempio di piena umanità e fratellanza. Penso che sia stata una buona occasione in cui la sua figura è stata ricordata da molti, da tutti coloro che avevano lavorato con lui, dagli insegnanti che erano stati preparati da lui. E penso che oltre alla celebrazione che hanno fatto il mese scorso, il suo ricordo sarà presente anche in seguito.

Io rientrerò in Bangladesh a luglio e senz’altro sarò presente anche in questa zona. Io ho a Lama una scuola residenziale per popolazioni indigene di religione buddista. Anche noi a gennaio abbiamo aperto una nuova scuola e fra l’altro abbiamo preso tre insegnati di quelli che aveva preparato Lucido. E quindi il nostro impegno a favore di queste popolazioni indigene, che sono ancora sotto il controllo dei militari e dei politici, continua.

Il nome di Lucidio resterà come l’esempio della persona venuta da lontano che però non ha fatto pesare la sua provenienza ma è diventato più vicino dei vicini. Una persona estremamente ricca di valori che però ha saputo vivere in grande sobrietà e povertà. Grazie.

Padre Pier Luigi Lupi

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