Attualità e futuro della Teologia della liberazione

teobanner

Continua in America Latina il dibattito sul rapporto fra
papa Francesco e la Teologia della liberazione

Articolo di Jorge Costadoat Carrasco, pubblicato il 26 giugno 2013 su

logo-OCLACCOrganizzazione Cattolica Latinoamericana e Caraibica di Comunicación, OCLACC – Signis ALC,  una vasta rete di istituzioni, media e professionisti della comunicazione con la capacità e la possibilità di influenzare la società civile e dei media degli Stati, delle istituzioni e chiese locali.

Jorge Costadoat Carrasco 26 giugno 2013

Jorge Mario Bergoglio è stato contrario alla Teologia della liberazione? Probabilmente per più di un punto. È oggi papa Francesco un avverrsario di essa? Non sembra.

È evidente che i sostenitori della teologia della liberazione sono felicissimi di lui. Basta scorrere le pagine web. I settori cattolici liberazionisti si sono identificati rapidamente con il nuovo papa. Il nome di Francisco, la semplicità, gli attacchi contro l’economia liberale, l’ormai famosa frase: “vorrei una chiesa povera e per i poveri” sono stati chiari segni di una svolta che il progressismo cattolico ha interpretato come un ammiccamento amichevole.

TdLChe importanza potrebbe avere il fatto che il Papa arrivi a riconoscere il valore di questa teologia? E dei  movimenti, congregazioni religiose e comunità di base che sono state ispirate da essa, dandole contemporaneamente la possibilità per il suo sviluppo?

Giovanni Paolo II non l’ha condannata, ma le ha fatto critica subdola e ha messo fuori i suoi teologi. Il Cardinale Ratzinger, che ha esercitato questo controllo per la carica di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, una volta diventato Benedetto XVI, è stato piuttosto tollerante. Proprio lo scorso anno ha nominato per quell’ufficio Gerhard Müller, un vescovo tedesco che nel 2005 aveva scritto, insieme al suo amico Gustavo Gutiérrez, un libro dal titolo “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione”. Lo stesso Ratzinger – è risaputo – aveva sempre avuto simpatia per Gutierrez, chiamato il “padre” di questa teologia. La nomina di Müller è stato un segnale di avvicinamento, certamente potente, verso un cambiamento che potrebbe finire per risultare decisivo.

Non lo sarà, tuttavia, se i sostenitori di Gutierrez, Boff, Segundo, Sobrino, Gebara, Codina, Galilea, Grano, Muñoz Ellacurfa e i molti altri teologi della liberazione pretendessero semplicemente di rivitalizzare tale e quale la teologia che aveva motivato l’impegno cristiano degli anni sessanta e settanta. Oggi il problema non è la riforma agraria o l’imperialismo degli Stati Uniti, né il marxismo o la guerriglia del Che e di Camilo Torres, e neanche gli anni grigi della dittatura di Pinochet. Bisogna prendere atto che la tendenza a rivivere quei tempi non solo è una tentazione inutile ma, al colmo della goffaggine, persino infedele al metodo stesso della teologia della liberazione.

La teologia della liberazione mantiene una attualità straordinaria. Non è mai stata condannata. Lo stesso Giovanni Paolo II avvertiva che essa, in alcuni casi, era addirittura “necessaria” (Brasile, 1986). Del resto non sarebbe stato neanche facile farlo, dal momento che era stato lo stesso magistero latinoamericano che aveva formulato la “opzione per i poveri”, nucleo della convinzione mistica e teologica di questa teologia. La sua attualità è iscritta nel suo stesso metodo. I vescovi del continente si avvicinarono alla realtà sociale con la chiave del “vedere, giudicare e agire.” Essi hanno reso popolare questa procedura metodologica. Hanno spinto la Chiesa a riconoscere l’azione di Dio nella storia e ad adeguarsi ad essa.

Però si deve riconoscere al Vaticano II la fondamentale paternità di questo metodo. Il documento Gaudium et spes infatti si era posto l’obiettovo di comprendere i “segni dei tempi”: “discernere negli avvenimenti, bisogni e desideri, che (il popolo di Dio) condivide con il mondo contemporaneo, i veri segni della presenza o dei piani di Dio “(GS 11). Ciò significa che, nelle vicende umane particolarmente significative, è possibile riconoscere l’azione di Dio e riflettere su di essa. Ciò ha richiesto alla Chiesa l’atteggiamento non di chi vuole “insegnare” al mondo ciò che Dio vuole, ma di chi intende “imparare” dal mondo ciò che Dio vuole.

Nello sviluppo successivo, la teologia ha potuto prendere coscienza che il contesto storico non solo autorizza ad interpretare la dottrina tradizionale accomodandola e adattandola alle nuove circostanze, ma che lo stesso contesto storico ha qualcosa da dirci su Dio e sulla sua volontà. Dio che si è rivelato nella storia, nella storia continua a rivelarsi. La Chiesa non è venuta al mondo con un cesto di dottrine preconfezionate sotto al braccio. La sua dottrina si è venuta formando per secoli, non essendo altro che l’interpretazione della Scrittura come Parola di Dio che continua a parlare nel presente e, dal momento che continuerà a farlo anche in futuro, ci obbliga a considerare le formulazioni teologiche sempre come provvisorie.

Stando così le cose, la Chiesa di oggi deve servire la storia se vuole essere storicamente rilevante. Come farlo? Essa deve radicarsi profondamente nella sofferenza dell’umanità, soffrire con essa, sperare con essa, ricercare le proprie esigenze di liberazione e di recupero della dignità umana. Deve, insomma, entrare in sintonia con lo Spirito di Cristo che grida nel povero, e d’altra parte, deve ricorrere al servizio delle scienze sociali per essere aiutata a capire meglio ciò che sta accadendo alle persone e alle comunità sociali.

Sappiamo che papa Francesco è un uomo collegato alla sofferenza del mondo. È ovvio che voglia la liberazione delle varie oppressioni di questo mondo. Sarà importante tuttavia che prendere sul serio anche il contributo delle scienze moderne. Senza di esse, il discernimento della praticabilità della liberazione appare oggi culturalmente impossibile. Prendiamo, per esempio, il caso dell’omosessualità. La dottrina della Chiesa è potuta variare nella misura in cui la conoscenza di questa realtà umana si è evoluta. La psicologia moderna ha smesso ad un certo punto di considerarla una perversione, per scoprire che si trattava di una malattia. Successivamente ha finito per non considerarla più una malattia, ma una variante della sessualità umana. La Chiesa, in questo campo, si sta servendo della psicologia per migliorare il suo insegnamento. Qualcosa di simile è successo con la comprensione del fenomeno del suicidio.

Oggi la Chiesa ha bisogno che Papa Francesco stimoli e si serva della teologia della liberazione, intesa come apertura critica e riflessiva all’azione dell’uomo contemporaneo, in particolare per quanto riguarda coloro che soffrono una qualche forma di discriminazione e di esclusione. Se non lo fa, l’umanità continuerà a superare la Chiesa in questioni in cui la Chiesa ha sempre avuto la pretesa di aver ragione. Il solo sviluppo della scienza non ha portato l’umanità al suo massimo livello. A volte sembra averla sprofondata in involuzioni atroci e terrificanti pensando alle sperimentazioni in corso. La Chiesa però può legittimamente cercare di affrontare gli eccessi della modernità o aiutare a gestirli, se riconosce che, per proclamare Cristo come la Buona Novella, è necessario usare la ragione – la scienza e la tecnica – per arrivare ad avere una fede in Dio autenticamente umanizzante.

Alla teologia della liberazione oggi, sulla questione del metodo, si aprono nuove possibilità di interesse. Essa pur occupandosi della liberazione, contribuisce a dare grande importanza alla creatività che espande gli orizzonti della vita. Gli esseri umani lottano contro l’oppressione, l’ingiustizia, le nuove e le vecchie schiavitù. Ma nello stesso tempo creano e ricreano mondi insospettati, innovano l’estetica e la moralità. Nelle numerose sperimentazioni del genere umano, Dio stesso si dà a riconoscere come il Creatore. Dio non si stanca o né si ripete. La teologia della liberazione già da molti anni valorizza le diverse culture, incluse le diverse religioni, e pertanto crede nel principio che Dio produce costantemente accadimenti nel mondo. Il suo contributo più caratteristico in questa apertura verso l’intera la realtà, è stato quello della valorizzazione della creatività dei poveri. Per questa teologia i poveri non devono essere solo oggetto di carità e di giustizia. Essi devono essere considerati soggetti che contribuiscono ad inventare un nuovo mondo con scarsità di mezzi ma la comprensione vitale di un Vangelo che è stato predicato a loro prima che a chiunque altro. Il più grande contributo della teologia della liberazione, e quindi il suo futuro, sta nel credere nella creatività dei poveri.

Questo spiega che i sostenitori della teologia della liberazione applaudono il Papa Francisco. Vedono in lui una persona che si impegna per i poveri.

traduzione dallo spagnolo di Franco Pignotti

Fonte: Actualidad y futuro de la Teología de la Liberación

Commenti

commenti

Questa voce è stata pubblicata in Blog, Chiese, Teologia e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.