Il Vangelo secondo Lucidio

Storia di una rivoluzione scolastica nelle regioni tribali del Bangladesh

 Una volta si conoscevano solo i quattro vangeli ‘canonici’, quelli, per intenderci, in uso ufficiale delle chiese e contenuti nella Bibbia. Poi si è venuto a sapere che nell’antichità circolavano altri vangeli, i cosiddetti ‘apocrifi’ (nascosti). Io qui vi voglio parlare del ‘Vangelo secondo Lucidio’ dove però Lucidio sta non per un antico autore né ‘canonico’, né ‘apocrifo’, ma per una persona in carne ed ossa dei nostri tempi, che mi onoro di avere come amico. Lucidio non ha nulla della ‘canonicità’ ufficiale, anzi è il personaggio più anticanonico che io abbia mai incontrato; e non è nemmeno ‘nascosto’ perché opera alla luce del sole ‘tropicale’ in una delle zone più popolate del pianeta: il Bangladesh, geograficamente una ‘piccola’ nazione (metà dell’Italia) con dentro 130 milioni di abitanti, stipati come ‘sardine’.

Lucidio è un ‘missionario’ sui generis: un ‘maestro elementare’ che da oltre 50 anni vive e lavora in Bangladesh di cui ha preso la cittadinanza e di cui conosce profondamente cultura e lingua da aver persino pubblicato almeno una ventina di testi narrativi, in lingua bengalese, per le scuole primarie di quel paese. La sua immersione nella cultura di questo paese è tale che sembra averne assunto persino i tratti fisici: chi lo vede per la prima volta lo scambia sicuramente per un orientale e se io non conoscessi il fratello e la sorella che vivono ancora nel suo paese natale, a Montegiorgio (AP) nelle Marche, non crederei si trattasse di un mio conterraneo.

Lucidio opera nel sud-est del Bangladesh, nella regione di Bandarban, a ridosso del Myanmar, l’unica regione montagnosa di questo paese che per il resto sembra costituito dall’immensa foce pianeggiante ed acquitrinosa dei due grandi fiumi che raccolgono le acque himalayane dei due versanti e che, prima di gettarsi nel golfo del Bengala, uniscono i loro corsi: il Gange e il Bramaputra. Questa regione ha anche un’altra particolarità: è abitata da popolazioni tribali non bengalesi, una decina di ‘tribù’ che fino a pochi anni fa vivevano isolate e felici sulle proprie montagne, con le proprie lingue e le proprie tradizioni, vissute come barriere di difesa nei confronti di un mondo circostante con cui non avevano e non volevano avere contatti. Ma le cose cambiano per tutti nel nostro pianeta e molto in fretta queste popolazioni tribali si sono trovate le loro terre invase dai bengalesi delle valli che, nella loro vertiginosa avanzata demografica, avevano bisogno di sempre nuove terre. Sospinte dapprima verso le zone montagnose più impervie, queste popolazioni, soprattutto le generazioni più giovani, si sono infine trovate nella necessità di doversi mescolare con il resto della popolazione bengalese. A questo punto il loro handicap più grave si è rivelato essere non quello della povertà (in Bangladesh sono tutti poveri), bensì quello linguistico: non conoscendo la lingua bengalese si ritrovavano improvvisamente stranieri sulle loro terre e quindi destinati a non fare che le ‘bestie da soma’ di gente già povera di suo: i più miserabili tra i miserabili quindi.

Una decina di anni fa, dopo una intera vita trascorsa al servizio del mondo scolastico bengalese, in una età in cui gli uomini vanno in genere in pensione e, se benedetti anche dalla salute fisica, cercano di ‘godersi’ il meritato riposo di una vita di intenso lavoro, a Lucidio, sempre alla ricerca di situazioni limite dove prestare la propria solidarietà e che si era già fatto un nome in Bangladesh come formatore di insegnanti, venne segnalata la miserevole situazione scolastica di queste regioni tribali. Decise allora, senza pensarci troppo, di dedicare l’ultimo tratto della sua vita agli ultimi fra gli ultimi: i bambini di queste popolazioni emarginate in uno dei paesi più poveri della terra.

I villaggi di montagna del sudest del Bangladesh si raggiungono solo a piedi, guadando numerosi corsi di acqua. Non ci sono strade, né macchine, né telefoni, né linee elettriche. Il tempo qui sembra ancora fermo al neolitico. La gente abita su ingegnose palafitte costruite utilizzando canne di bambù e foglie di banano, che costituiscono la principale vegetazione della regione. Sin dal suo primo faticoso ‘tour’ Lucidio si rese conto che le scuole materialmente esistevano: il governo bengalese, dopo la sua indipendenza raggiunta nel 1971, aveva provveduto a costruirle e ad istituire un rudimentale sistema scolastico. Ma esse non funzionavano: i maestri bengalesi delle valli, che avrebbero dovuto ogni giorno salire a piedi sulle montagne, per venire ad insegnare in questi villaggi a bambini di popolazioni da loro disprezzate, oppure, peggio ancora, trasferirsi con le loro famiglie per vivere in mezzo a loro, non facevano né l’una né l’altra cosa. Semplicemente si limitavano a recarsi una volta ogni tanto nelle scuole a loro assegnate, tanto per giustificare la riscossione dello stipendio governativo. Altrettanto facevano direttori didattici ed ispettori ministeriali. Le famiglie di questi villaggi erano ben contente che la scuola, istituzione a loro sconosciuta, non funzionasse, in modo da poter impiegare i loro bambini, come sempre, subito al lavoro. Gli insegnanti più coscienziosi, che decidevano di fare propriamente il loro dovere, si ritrovavano in genere con un centinaio di bambini per classe e quindi con l’impossibilità di portare avanti qualsiasi didattica.

Lucidio, da vecchio lupo di mare nel campo dell’educazione, capisce subito il da farsi. Scende a valle e si stabilisce nel capoluogo regionale, la cittadina di Lama, dove è presente una scuola superiore, il Matamuhuri College, per i pochi fortunati che vi possono accedere. Un’aula scolastica diventa la sua casa e il suo quartiere generale. Insieme ad alcuni insegnanti di questa scuola organizza una associazione di giovani maestri, reclutati tra i migliori ‘diplomati’, che accettano di dedicare, con un salario minimo da sopravvivenza, alcuni anni della loro vita nei villaggi tribali delle montagne. Nasce così Shuktara, “la Stella del Mattino”.  Nella regione di Bandarban la gente segue le tre principali religioni presenti: l’Islam, l’Induismo e il Buddismo. Non ci sono cristiani se non per una percentuale infima, lo 0,5 per cento. Shuktara è pertanto una associazione interreligiosa dove ognuno può praticare tranquillamente la religione dei propri padri e tutti insieme sono uniti dall’unico obiettivo di migliorare l’umanità; qui in particolare, dare una educazione scolastica ai bambini delle montagne.

Dopo un breve ma intenso periodo di formazione, questi giovani maestri vengono mandati nei villaggi dove devono stabilirsi con la propria famiglia. Saranno inseriti, previo accordo con le autorità scolastiche regionali, come maestri supplementari a costo zero (perché pagato da Shuktara) per l’amministrazione pubblica. In ogni villaggio che accetta l’azione di Shuktara viene inviato un maestro che assume la direzione di una sola classe, magari dividendone una di 100 o 80 alunni. Questa ‘classe pilota’ vedrà il proprio maestro puntualmente, ogni giorno, al suo lavoro, il quale all’inizio magari dovrà andare a cercare i suoi alunni, come nel film di Paolo Villaggio “Io speriamo che me la cavo”, ma poi saprà interessarli talmente con i suoi racconti e le sue storie, che essi verranno spontaneamente con interesse e piacere. La prima abilità che Lucidio chiede ai suoi maestri è infatti quella di sapere ‘affascinare raccontando’: in una cultura rigorosamente orale, dove non c’è parvenza né di televisione né della stessa radio, il rapporto con il mondo è mediato ancora dalla parola nuda, ma fascinosa, del ‘racconto’. Lo stesso maestro, dopo le sue lezioni, andrà nel villaggio a parlare con i genitori per coscientizzarli sull’importanza dell’educazione per i loro figli, sui loro diritti inalienabili, sui doveri dei maestri governativi. Lavorerà per costituire un comitato di genitori che vigili sull’attività della scuola. La scuola così rifiorisce, all’inizio solo nella sua classe pilota; ma poi, per mimesi e come in una sorta di effetto domino, in tutte le altre classi. Gli altri maestri si sentiranno costretti dalla propria coscienza o saranno costretti dai Comitati Scolastici di villaggio, ad impegnarsi seriamente, perché a questo punto saranno gli stessi bambini che chiederanno loro di far scuola come il maestro di Shuktara.

Nel 2000, quando sono venuto a conoscenza di questo straordinario maestro e della sua attività pedagogica in questa remota regione del Bangladesh, Lucidio non sapeva ancora bene come penetrare nel ‘castello’ della scuola nazionale per far rinascere le morenti scuole di questi villaggi; coltivava però già il sogno di riscatto per i bambini di queste tribù; e, seguendo l’ispirazione del suo poeta del cuore, il bengalese Rabindranath Tagore, cercava di “attaccare il suo sogno ad una stella”, come aveva fatto per tutta la sua vita. La stella a cui ha attaccato questo suo sogno è stata una grande stella, poiché oggi, dopo soli otto anni, Shuktara è diventata una realtà importante della regione; lo strumento di una “rivoluzione scolastica” che tocca oltre ottanta villaggi e interessa 5.000 bambini e una popolazione di 30.000 persone. Poca cosa in un paese di 130 milioni di abitanti, ma una grande impresa per un ‘piccolo uomo’ (Lucidio è alto non più di 1,55 mtr.) con una ‘grande anima’. Ho conosciuto Lucidio grazie ad un prete che mi aveva passato una sua lettera: parlava di regioni lontane e di gente ancor più sperduta, ma mi colpì una citazione del poeta bengalese Rabindranath Tagore; un missionario cattolico che cita un poeta indiano non è cosa di tutti i giorni. Ho scoperto più tardi che quella citazione è il faro della sua vita:  “Se chiami i tuoi amici a seguirti e nessuno viene, tu parti da solo, parti senza paura”. In fondo alla lettera, un indirizzo email. Gli scrissi e dopo circa un mese ricevetti una sua risposta; cominciava così: “sono sceso dalle montagne e ho trovato la tua lettera …”. Ebbi un tuffo al cuore. Mi spiegava che ogni mese scendeva a valle per prendere un autobus che in cinque ore percorreva 200 chilometri per portarlo a Chittagong, seconda città del paese dopo la capitale Dhakka, dove a casa di amici, tornava alla ‘civiltà’ normale, si riposava un po’ e, dopo un piatto di spaghetti ed una tazza di buon caffè, aveva accesso a internet con il quale mantere i rapporti con i suoi tanti amici sparsi per il mondo. Ed è cominciata così la nostra corrispondenza e anche il nostro appoggio al suo progetto. Con 600 euro, Lucidio assicura lo stipendio annuale ad un maestro e le spese per i materiali didattici di una ‘classe pilota’ di almeno 40 bambini; ma come abbiamo visto, attraverso la classe pilota è l’intera scuola di villaggio, composta di diverse centinaia di alunni, che rifiorisce. Abbiamo cercato di coinvolgere sempre più persone, scuole, enti pubblici del nostro territorio, che è anche il territorio di origine di Lucidio. Con un contributo per noi infimo, possiamo contribuire alla ‘rivoluzione scolastica’ di Lucidio in Bangladesh. Siamo diventati la retroguardia di Lucidio, fieri di partecipare alla sua missione, orgogliosi di contribuire, con poco, alla formazione culturale ed umana di migliaia di bambini bengalesi.

Dicevo all’inizio che Lucidio è un missionario sui generis, un missionario che non può parlare apertamente della sua fede, che non vuole in alcun modo far proselitismo: verrebbe immediatamente visto con sospetto e forse cacciato. Qui non esiste un concetto di religione separata dal resto della vita: appartenere ad una religione è appartenere ad una etnia, cambiare di religione sarebbe come rinnegare la propria famiglia, una cosa abominevole. ‘Convertirsi’ qui non può significare che raggiungere il cuore profondo dell’uomo pur rimanendo dentro la propria tradizione religiosa. Lucidio, nei suoi libri di racconti, traduce, rileggendole attraverso le storie quotidiane di queste popolazioni, parabole e storie prese dal Vangelo e dalla Bibbia, come pure dalla tradizione indù, buddista e musulmana. Trasmette i più puri valori evangelici senza etichettarli come tali, in quanto valori profondi dell’uomo.  Per questo egli definisce i suoi libri di racconti, “il vangelo secondo Lucidio”.

 



[1] Il Vangelo secondo Lucidio. Storia di una rivoluzione scolastica nelle regioni tribali del Bangladesh, in “Il salotto degli autori”, Autunno 2008 (Anno VI, N.24) pp. 41-42

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