Kossi Komla-Ebri

I libri di Kossi Komla-Ebri

Sabato 5 Aprile 2014, a partire dalle ore 16.00, presso la Sala conferenze di Villa Nazareth il dott. Kossi Komla-Ebri interverrà ad animare il 5° incontro del corso di formazione IL SENSO DEL PARTIRE. Il tema della sua lezione sarà: “L’incontro con l’altro. Per una cultura dell’accoglienza”. Nella stessa mattinata Kossi insontrerà prima gli studenti dell’ITIS MONTANI di FERMO e poi quelli della UGO BETTI.

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Dott. Kossi Komla-Ebri, medico e scrittore di origine togolese, in Italia dal 1974, vincitore del primo premio per la narrativa in occasione della terza edizione del concorso Eks-tra nel 1997 col racconto “Quando attraversò il fiume”. E’ membro del comitato editoriale “El Ghibli”, direttore della collana “Letteratura migrante” della casa editrice Ediarco e coordinatore della REDANI (Rete della Diaspora Africa Nera in Italia).

Si occupa di diffondere la cultura dell’Accoglienza e dell’Incontro con l’Altro anche attraverso convegni e seminari che tiene in tutto il mondo.

Qui presentiamo alcuni dei suoi libri

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Kossi Komla-Ebri racconta il Togo, suo paese d’origine che tinge di mille colori declinandone tradizioni, profumi e piatti attraverso la colorata palette narrativa che caratterizza il libro “All’incrocio dei sentieri”, insieme di racconti dell’incontro. C’è Francesca, italiana innamorata, che si ritrova a portare avanti tradizioni funerarie che appartengono alla famiglia dell’amato Togbe, e poi la Parigi di Yao, e l’Italia di tanti giovani che arrivano, molto spesso per ricongiungersi con i familiari che li hanno preceduti in uno spostamento così importante, altre volte più all’avventura, traghettati da potenti sogni di riscatto.
Tutti al crocevia tra i ricordi d’Africa di tanti abitanti del continente nero, provenienti da vari paesi e il confronto, molto spesso rude, con una realtà estremamente diversa, più urbanizzata e molto meno protetta dall’esiguità dei vincoli familiari e dall’assenza di quelli tribali. Terra d’Europa insomma, sognata, agognata e scoperta sotto una luce inattesa e, nella maggior parte dei casi, molto meno dorata del previsto.

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Questo libro ci trasporta nel piccolo villaggio di Dugà, dove vivono l’hunò Briyawo, suo nipote Kossivi e le loro famiglie.

Briyawo decide di diventare un hunò, un sacerdote vodù, nel tentativo di risolvere un grave problema congenito che mina la salute di tutti i suoi figli. Questa decisione condiziona la storia sua e del resto della sua famiglia per gli anni a venire.
E senza accorgercene ci ritroviamo catapultati in una cultura così diversa dalla nostra, eppure così affascinante. Difficile da capire per chi è nato nella parte del mondo dominata dalla razionalità e incapace di accettare l’inspiegabile.

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Scrive Kossi Komla-Ebri: «Nei miei Imbarazzismi  racconto questo episodio che ho intitolato Etnocentrismo:
Un giorno, in classe, durante un incontro sull’interculturalità, chiesi ai ragazzi di darmi una definizione del termine “razzismo”.
Subito, il più sveglio esclamò: «Il razzista è il bianco che non ama il nero!»
«Bene!» dissi. «E il nero che non ama il bianco?»
Mi guardarono tutti stupiti ed increduli con l’espressione tipo: “Come può un nero permettersi di non amare un bianco?”.
Perché la gente è così convinta che il razzismo come un vettore ha un origine, una direzione e quindi un senso ma “senso unico” cioè nel nostro caso dal bianco verso il nero come se solo il premio dell’imbecillità e della stupidità ce l’abbiano solo i bianchi.
Da questo ragionamento si nutre il concetto del “razzismo al contrario”. Il razzismo è razzismo punto . Non ha senso in tutti…i sensi anche in quello del significato. C’è una sola razza quella umana con delle sottospecie di …stupidi.»

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Il romanzo descrive la storia d’amore fra un uomo e una donna africani: lui, un giovane che torna dagli studi in Europa; lei, una donna del luogo dai modi inspiegabilmente eleganti, “europei”. Il nome della ragazza è Neyla, apparentemente abituata alle maniere raffinate parigine, ma intimamente d’indole forte, passionale, ma anche fragile. Neyla è l’Africa: misteriosa, conturbante, vitale e selvaggia, indomita, ma terribilmente affascinante. Il protagonista vivrà con lei una storia d’amore breve, ma intensissima e, grazie a lei, si riavvicinerà a quel mondo che aveva conosciuto prima di partire per l’Europa per gli studi e in cerca di fortuna. Oltre alle vicissitudini amorose di questa coppia, il protagonista-narratore si sofferma ogni tanto su pensieri che riguardano la terra che sta lentamente riscoprendo. Una terra piena di contraddizioni, povera, ma spiritualmente ricca, che si lascia condizionare negativamente dall’Europa, prendendo le abitudini di un paese più “civilizzato”, senza però filtrare tali abitudini con delle regole adatte. L’autore usa come referente narrativo la stessa Neyla, descrivendo i fatti come se li stesse raccontando a lei, invece che ad un comune lettore: le parla di quello che ha realizzato durante la storia con lei, di quello a cui ha pensato, delle sue paure per il futuro. Il tragico finale vede un protagonista disperato che, per necessità, è costretto a lasciare l’Africa. Ogni centimetro quadrato della sua terra ospita l’anima di Neyla, ogni pianta e ogni viso portano il suo ricordo. Il protagonista fugge da tutto ciò, sperando di tornare in Europa e di vivere come uno straniero in un paese di nuovo a lui estraneo. Perché Neyla l’ha riavvicinato all’Africa ed egli rimarrà africano per sempre, pur vivendo in un paese lontano migliaia di chilometri.

VITA_E_SOGNI___K_4d6fb9d224e65Medico di origine togolese, Komla-Ebri è un volto noto della letteratura migrante italofona (Imbarazzismi e altro). Questa volta ci propone otto storie, collegate dal filo rosso del sogno: ora evanescente, ora fantastico, ora(nel caso dei bambini soldato del Nord Uganda) un incubo.

Il protagonista del primo racconto è forse una controfigura di Kossi? Anche per lei, come per Elom Doglo, “scrivere libera e sconfigge la solitudine. Scrivere è taumaturgico contro la nostalgia”?
La scrittura è per me necessità di comunicare. Una necessità nata, in parte, per far conoscere la mia cultura e, in parte, per scavare dentro di me, per racimolare parti di identità sparse: il Kossi nostalgico africano, il Kossi passionale italiano, il Kossi razionale francese… che è, poi, sempre un medesimo Kossi. È vero che la lingua italiana è passionale, ti rende passionale, e la scrittura riesce a ricuperare e far unire questi frammenti di me. La scrittura ha un valore taumaturgico, sì. Contro l’idea che l’intellettuale è un po’ bastardo. “Kossi, non sei più africano”, mi dicono. Ma io penso che Kossi è un po’ di tutto questo.

In “Identità trasversa” è di scena un 17 enne di seconda generazione-G2!- che non risparmia aspri (e, in parte, condivisibili) rimproveri ai genitori. “Non mi stressate più con l’Africa: io non ci voglio più andare!”, urla, come in sogno. Ma poi capisce di dover cambiare registro e instaura, nella sua mente, un dialogo lussureggiante di metafore, proverbi, detti di sapore africano. L’agitata notte di Kuami si chiude su una nota di serenità. Qual è il suo sguardo, Kossi sulla G2?
Anzitutto, c’ è il problema del linguaggio. Le nostre parole non sono mai neutre: sono colorate, aprono spazi di immaginario profondo. Il problema della società oggi non è la diversità come tale, ma la difficoltà di comunicare, soprattutto se le persone hanno pelle, religione, cultura diverse. Quanto alla G2…sono molto preoccupato. Da un lato, vedo le reazioni di molti genitori che cedono, perché si sentono defraudati del loro ruolo, sminuito dalla loro condizione economica, dal loro rango sociale, e soffrono perciò di disistima da parte dei figli. Conosco senegalesi che hanno mandato il figlio al paese, perché minacciava di chiamare il Telefono Azzurro. “Sta crescendo come un piccolo bianco, lo devo rimandare a casa”. Dall’altro lato, sono pessimista sul futuro di questi ragazzi. Quale integrazione per loro? Un Sarkozy, che è un G2, è immaginabile per l’Italia? Si parla di quote rosa: non pretendiamo le quote nere, ma almeno uno spazio di partecipazione. Dov’è il diritto di cittadinanza?

Protagonista del racconto più lungo del libro non è un africano, ma un albanese…
La condizione migrante accomuna le persone, che siano albanesi, rumeni o altro, io la sento oggi come qualcosa di trasversale. Cercare di vivere dentro di me la realtà di altri immigrati mi sembra naturale. Dietro la storia di Gimi non c’è più soltanto l’albanese, ma chiunque lasci il suo paese in cerca di una vita migliore. Nel trascriverla, ho corretto poche cose: mi ci ritrovavo, anche se io ho vissuto esperienze diverse.

Pier Maria Mazzola, Nigrizia, Febbraio 2008 p. 72

 

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