René Girard e la Teologia

KIRWAN M., Girard and Theology, T&T Clark Publ., London 2009  pp. 165

Nel novembre del 2005  René Girard è stato chiamato ad occupare il 37mo scranno della prestigiosa Accademia di Francia, fondata dal cardinal Richelieu, i cui 40 membri vengono definiti, sin dal 1651, ‘gli immortali’. Questo altissimo riconoscimento, offertogli dai suoi pari (ogni nuovo membro viene eletto dagli altri ‘immortali’ viventi)  è tanto più significativo in quanto giunge dopo una lunga carriera intellettuale che già durava da oltre 40 anni, lungo la quale il suo pensiero era stato a lungo osteggiato, tanto che ancora oggi fa fatica ad affermarsi.

Michael Kirwan è un teologo gesuita inglese, capo del Dipartimento di Teologia presso l’Heyrthrop College dell’Università di Londra, storico centro gesuita inglese di studi filosofici e teologici fondato nel 1614 a Lovanio con lo scopo di preparare i teologi gesuiti nella controversia con l’anglicanesimo. Dal 1970 l’Heyrtrop College è parte integrante dell’Università di Londra, dove M. Kirwan insegna Teologia Politica. L’autore ha al suo attivo, sino ad ora, tre pubblicazioni: Discovering Girard, Darton, Longman and Todd, 2004; Political Theology. A New Introduction, Darton, Longman and Todd, 2008 e Girard and Theology, T&T Clark Publ., London 2009. Dopo aver presentato, nella sua opera del 2004, la genesi e l’articolazione dell’antropologia girardiana, la sua recezione e i possibili sviluppi futuri, in quest’ultima sua opera del 2009, egli si pone la questione del possibile contributo di questa antropologia per la teologia: che cosa Girard ha da dire alla teologia? È egli in grado di aiutare i teologi a parlare correttamente di Dio?  (p. 1) Dopo i primi tre capitoli nei quali vengono riassunti i passaggi nodali dell’antropologia girardiana, la risposta a questa specifica domanda si snoda in una serie di capitoli nei quali l’autore del presente saggio cerca di esplorarne le implicazioni religiose: l’antropologia teologica, la soteriologia, la critica biblica, la teologia politica e la teologia delle religioni.

L’antropologia girardiana è stata da qualcuno definita come “una ermeneutica della croce” (R. Hamerton-Kelly) per quel suo partire dai racconti della passione come momento cruciale di una sorta di ‘decostruzione culturale’ attraverso lo smascheramento del meccanismo vittimario che lega in maniera indissolubile violenza, religione e cultura. In quanto tale, la teoria mimetica era destinata ad incontrarsi con la riflessione teologica vera e propria. Di questo incontro in via di elaborazione e delle sue prospettive future, il libro di M. Kirwan vuole rendere conto. Il quarto capitolo è dedicato ad un ambizioso progetto di ricerca sulla Teologia Drammatica che ha nell’università di Innsbruck il suo fulcro programmatico. Ispirandosi alla Teodrammatica del grande teologo gesuita svizzero H.U. Von Balthasar, il suo più giovane confratello e connazionale Raymund Schwager, dal 1975 professore di Teologia Dogmatica e poi Decano della Facoltà di Teologia Cattolica di Innsbruck (dove aveva anche insegnato, dal 1937 al 1964, Karl Rahner), ha sviluppato negli anni, in stretta relazione con l’antropologia di René Girard, un ampio progetto teologico che fa della ‘drammatica’ la chiave di lettura dell’intero mistero cristologico (opera principale: Jesus im Heilsdrama: Entwurf einer biblischen Erlosungslehre 1996, trad. inglese Jesus and the Drama of Salvation 1999), progetto che, dopo la sua prematura scomparsa nel febbraio del 2004,  viene portato avanti da un gruppo di teologi cattolici austriaci suoi precedenti collaboratori (W. Palaver, J. Niewiadomski, N. Wandinger). Sempre dietro ispirazione dello stesso Raymund Schwager era sorta ad Innsbruck, nel 1994, l’accademia di studiosi girardiani COV&R (Colloquium On Violence and Religion) che raccoglie oggi oltre duecento studiosi internazionali che esplorano l’apporto della teoria mimetica nei diversi campi scientifici e disciplinari. Il capitolo quinto si occupa invece della particolare prospettiva di antropologia teologica elaborata sulla base della teoria mimetica, prospettiva che M. Kirwan, ispirandosi ai lavori di un altro teologo cattolico inglese che coniuga il pensiero antropologico di Girard con la prospettiva teologica cristiana, James Alison (autore di The Joy of Being Wrong: Original Sin through Easter Eyes, Crossroad, New York 1998), preferisce definire, con un neologismo, “antropofania” per sottolinearne la particolare dinamica. Tale  “antropofania teologica” viene delineata in stretta correlazione con le due grandi correnti teologiche che fanno capo da una parte a K. Rahner e dall’altra a K. Barth e che secondo Von Balthasar percorrono tutta la storia della teologia cristiana. I capitoli sesto e settimo, sono invece dedicati ad esplorare le implicazioni di questa antropofania teologica per la soteriologia, la dottrina della salvezza. Il primo di questi due capitoli, intitolato “il dramma della salvezza” delinea una appropriata intelaiatura concettuale per questa esplorazione, soffermandosi in particolare sul confronto fra l’impostazione girardiana, mediata da Schwager ed Alison, e la classica impostazione della ‘soddisfazione’ anselmiana. Il secondo invece si occuperà di analizzare, attraverso la particolare lettura datane da Girard e Schwager, alcune classiche metafore-chiavi della redenzione, in particolare le tre metafore della ‘vittoria’ di Cristo su Satana, della ‘giustizia’ di Dio e del ‘sacrificio’. Di quest’ultimo in particolare si presenta l’evoluzione girardiana dall’iniziale rifiuto di ogni terminologia sacrificale, ad una più sua più attenta considerazione in contesto cristiano in cui ‘sacrificio’ viene a coincidere con un ‘anti-sacrificio’ come lo definisce L.M. Chauvet o come un ‘esodo dal sacrificio’ come preferisce chiamarlo lo stesso M. Kirwan. L’utilizzo per la soteriologia di ognuna di queste tre metafore ha bisogno di una costante attenzione per non ricadere nelle forme arcaiche del sacro, perché si tratta sempre di uscire appunto dall’arcaico per radicarsi nel cristico. I quattro capitoli successivi affrontano alcune questioni specifiche: Girard e la Bibbia (cap. 8), la Teologia politica (cap. 9), i Sud del mondo (cap. 10), Girard e le Religioni (cap. 11). Il rapporto con la letteratura biblica è al cuore della proposta girardiana: egli vede nel giudeo-cristianesimo il progressivo smascheramento del fondamento violento della cultura, misconosciuto nel pensiero mitologico che lo camuffa dentro la funzione centrale del sacrificio. Ma oltre questa prospettiva di ampio respiro, si pone il problema del riscontro esegetico di tale prospettiva. Raymund Schwager, con il suo Brauchen wir ein Sundenbock? del 1978 (trad. inglese: Must There Be Scapegoats? Violence and Redemption in the Bible. Harper & Row, San Francisco 1987) si incarica di offrire una veste esegeticamente scientifica alle prospettive aperte da Girard. L’attacco dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle di New York riporta in primo piano, in maniera sino ad allora impensata, il connubio fra religione e violenza e offre alla Teoria mimetica un banco di verifica per la sua capacità di lettura non solo delle interrelazioni personali e delle narrazioni mitologiche, ma degli stessi eventi del mondo globalizzato postmoderno, per la costruzione di una Teologia Politica che assuma l’apocalittica come cifra interpretativa degli esiti della stessa storia contemporanea. Pensiero troppo speso confinato nelle accademie nord occidentali, la teoria mimetica trova il suo banco di prova anche nel Sud del mondo, a confronto sia con la Teologia della liberazione latino americana, con la quale si è misurata in uno storico convegno, tenutosi in Brasile nel 1990, fra Renè Girard e i teologi della liberazione; sia con il pensiero tradizionale africano basato sulla stregoneria come onnipresente interpretazione della sofferenza umana. Resta infine il quarto tema dedicato al Dialogo delle Religioni che, ad una prima considerazione, il pensiero girardiano sembrerebbe affossare definitivamente, ma che invece sembra in grado di riproporre in maniera del tutto nuova e feconda proprio a partire dall’idea di un esodo progressivo del religioso autentico dal sacro violento. Il capitolo conclusivo è dedicato esplicitamente al rapporto fra Girard e i teologi. M. Kirwan passa qui in rassegna la recezione sia positiva che negativa che la teologia ha riservato a Renè Girard nella aree linguistiche tedesca, francese e inglese. L’autore conclude che è ancora troppo presto per una valutazione complessiva dell’impatto del pensiero girardiano sulla teologia e gli altri campi del sapere, anche perché siamo di fronte a ‘progetti di ricerca’ che sono ancora in pieno sviluppo. Ma, seppur in presenza di questo verdetto attendista, noi possiamo, afferma Kirwan, con più confidenza constatarne l’influenza pratica sulla teologia pastorale. “Non ci possono essere dubbi circa il notevole impatto che le idee di René Girard hanno avuto, non solo sulle discipline accademiche della Teologia e della Scienza delle Religioni, ma anche su un grande numero di persone impegnate praticamente al di fuori delle accademie. Pastori, guide spirituali e attivisti per la pace, la giustizia e la riconciliazione, hanno tutti trovato  che il grappolo delle intuizioni girardiane sono state di immediata applicazione nella loro proclamazione del Vangelo. Se non altro egli ha messo a disposizione una straordinaria e potente ermeneutica biblica capace sia di offrire un senso nuovo a testi biblici familiari che di offrire uno a testi in genere enigmatici” (p. 143)

 

Franco Pignotti

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