Volontariato e maternità

Come mamma tra le donne d’Africa

Non è stata per me una cosa difficile partire come coppia e come famiglia per andare in missione. Questi cinque anni sono stati un periodo ricco e importante per la storia della mia famiglia e per la crescita educativa dei miei bambini.

Sin da quando ci siamo conosciuti, abbiamo pensato di arricchire la nostra vita di coppia anche con una esperienza di servizio in un paese povero. Ciò che mi spingeva a partire era un forte desiderio di essere più utile e di poter fare qualcosa di più di quello che potevo fare qui in Italia. Forse debbo questo forte desiderio anche alla mia educazione nell’ AGESCI.  Ma devo riconoscere che c’era anche il desiderio di conoscere paesi ed usanze nuove.

All’inizio ero certamente preoccupata per possibili malattie che potevano colpire i bambini. Ero preoccupata per gli eventuali disagi alimentari. Pensavo di non poter trovare molte cose che ritenevo importante i bambini continuassero ad avere. Temevo che non sarei riuscita a conciliare gli impegni di famiglia e di cura dei bambini con l’ impegno di lavoro nel progetto. Tutto questo costituiva per me una sfida che mi attirava, ma anche mi metteva in ansia.

Questa esperienza mi ha fatto toccare con mano e capire la condizione della donna nei paesi cosiddetti in via di sviluppo. E’ impressionante vedere che tipo di vita conducono queste donne. Hanno una vita molto dura. Portano sulle spalle il peso della famiglia, hanno in genere molti figli, ma nella famiglia non hanno autorità. Il comando è sempre nelle mani dell’uomo, anche se spesso pensa solo a bere e non si preoccupa dei suoi figli. Le ragazze con cui io ho avuto relazione erano ragazze povere che non avevano possibilità di lavoro e di studio e in più molte di loro erano già ragazze madri, condizione che impedisce loro di accedere o di poter continuare il corso degli studi nelle scuole pubbliche. Ragione per cui hanno ancora più bisogno di aiuto di altri.

Debbo dire che mi sono sentita molto realizzata in questi cinque anni. Ho potuto lavorare come donna accanto a queste donne africane, così diverse da me per tanti aspetti eppure anche così simili a me per altri. Ho potuto fare con loro ed insegnare loro delle cose utili e necessarie. Insegnando alle ragazze il mestiere della sarta, ho potuto contribuire nell’aiutarle a realizzare se stesse con una possibilità di lavoro.  E’ stato molto bello riuscire a preparare delle persone che continuassero il mio lavoro.

Anche come mamma  debbo dire che è andata molto bene. Le mie preoccupazioni iniziali infatti si sono rivelate infondate o sopravvalutate. Sicuramente ci sono stati momenti di tensione quando i bambini si ammalavano soprattutto per la malaria. Ma il vederli correre e giocare felici con i loro amichetti di colore era una gioia e una soddisfazione. I bambini non hanno problemi di inserimento: siamo noi adulti che spesso facciamo fatica ad abbattere le barriere davanti alle quali ci troviamo o che noi stessi creiamo per un malinteso senso di difesa. Essere in missione come famiglia,  rende più significativa l’educazione dei bambini che sono sottoposti a delle esperienze arricchenti e si educano con naturalezza alla accettazione dell’altro senza remore per quanto riguarda il colore della pelle e altre differenze culturali.

Questo lungo periodo è stato per me anche una buona occasione di più profonda conoscenza fra noi come coppia in quanto abbiamo lavorato per cinque anni fianco a fianco e su un livello di parità nello stesso progetto, anche se con funzioni differenti. In Italia non succede facilmente, e soprattutto non alla maggior parte delle coppie, di potersi impegnare, anche sul terreno del lavoro, in un progetto significativo comune. Inoltre il partire come coppia a mio parere rende più completa l’esperienza e più facile il proprio compito perchè si hanno continue occasioni per confrontarsi e anche per consolarsi a vicenda Allora partire per l’ Africa come coppia e come famiglia appare una benedizione e un dono. Un dono che auguro a tante altre coppie di avere la fortuna di ricevere.

 

[1] G. MEZZALIRA, Cinque anni nello Zambia come famiglia, in Aloe. Lettera di collegamento, ottobre 1999

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